Glossario della bolla consapevole

Glossario della bolla consapevole

Giugno 8, 2021 0 Di lasecondadolescenza

Che sia elegante o meno dirlo, questa settimana abbiamo cominciato a sudare. E con la stessa velocità con cui abbiamo fatto scomparire le magliette grigie (le prime a pezzare, si sa) e sfoderato il sandalo, abbiamo iniziato anche a sognare una vita in vacanza e ad annegare la nostra sudata frustrazione nelle bollicine.

E così, in cima alla classifica delle domande ricevute al bancone dell’enoteca negli ultimi giorni c’è senza dubbio “Ciao, non è che hai un prosecco in fresco?”

Il punto di questo post sta nella risposta, o meglio nell’aspettativa. Cosa volete esattamente quando chiedete un prosecco? Una generica bolla? Le risposte casuali dell’avventore di passaggio mi hanno spinto a fare un po’ di chiarezza nel vostro glossario da enoteca onde evitare di dovervi sempre offrire – in ultima analisi – quella rara etichetta che è “Pace con il cervello”.

Partiamo dal presupposto che l’argomento spumantizzazione è uno dei più complessi per chi si approcci saltuariamente al mondo del vino, ma come ogni cosa complicata si può semplificare con alcune semplici dritte.

 

  1. Prosecco non è sinonimo di bollicina. Spero che nessuno sia caduto dalla sedia leggendo questa frase, ma è proprio così. Il Prosecco è un vino che può essere prodotto solo all’interno del territorio definito dalla sua Denominazione di Origine Controllata (DOC) che comprende gran parte di Veneto e Friuli arrivando fino ai dintorni di Trieste dove si trova il paese di Prosecco. L’uva più utilizzata per la produzione di questa bollicina è la Glera, autoctona della zona di Valdobbiadene che corrisponde – si può dire – al cuore storico della DOC tanto da essere definita nel 2009 territorio DOCG.

 

  1. Spumante vuol dire tutto e niente. Mi spiego, come dice il gerundio presente “spumante” è tutto ciò che subisce il processo di “presa di spuma”. Quindi inutile polemizzare se lo spumante sia meglio o peggio del Prosecco o del Franciacorta, facendo riferimento all’insiemistica che ci fanno studiare in prima elementare sia Prosecco che Franciacorta sono per definizione appartenenti all’insieme spumante, sebbene prodotti con due metodi differenti.

 

  1. Il metodo classico non è una roba per vecchi. Quando vi chiedono se volete un metodo classico non è perché ne esista uno moderno e vi hanno già giudicato dei tipi noiosi e vecchio stile. Anzi, “metodo classico” è la traduzione in italiano di quello che in Francia si chiama méthode champenoise (se fatto nella regione dello Champagne) o méthode traditionnelle se fatto in altri territori (in quel caso il vino non sarà Champagne, ma ad esempio Cremant se prodotto in altre regioni francesi o Cava se prodotto in Spagna etc). Il Metodo Classico è quindi la quintessenza della trasformazione dell’uva in vino spumante! In Italia, a differenza che in Francia, il metodo classico può essere applicato in qualsiasi territorio a discrezione del produttore, vero però che negli anni alcuni territori si sono rivelati più vocati nella sua realizzazione e sullo scaffale di un’enoteca alla voce “metodo classico italiano” troverete per lo più vini prodotti nelle DOCG\DOC Franciacorta, Trento, l’Alta Langa e Oltrepò Pavese.

 

  1. È brutto, ma si dice sboccare. È ora di fornire ai più curiosi di voi qualche rudimento base del processo di spumantizzazione. Se come cantava Sergio Endrigo “per fare un tavolo, ci vuole un fiore” in linea di massima (teniamo un attimo da parte il metodo ancestrale) per fare uno spumante ci vuole il vino, ovvero serve che sia portata a termine tutta la prima fermentazione del mosto. Nel vino fatto e finito quindi viene innescata con una miscela di zuccheri e lieviti (sull’origine di questa miscela si potrebbero scrivere intere tesi di Dottorato, e più di una persona l’ha fatto o lo sta facendo. Lascerò l’approfondimento per un’altra volta.) una seconda fermentazione. Qui le strade si dividono, ma l’obiettivo è sempre lo stesso: far lavorare i lieviti in un ambiente chiuso così che l’anidride carbonica – prodotta come scarto del loro metabolismo – rimanga intrappolata e generi, appunto, la bollicina. Le strade si dividono dicevo, perché la seconda fermentazione può essere innescata in un grande recipiente ermetico detto autoclave secondo quello che viene chiamato metodo Martinotti (o Charmat, dal nome di chi sviluppò la strumentazione per applicarlo): questo è il caso, ad esempio, del Prosecco. Oppure, nel caso del sopra-discusso Metodo Classico, la seconda fermentazione può avvenire mediante l’aggiunta del liquer de tirage (miscela di vino, zuccheri e lieviti) direttamente all’interno della bottiglia che verrà temporaneamente tappata con il tappo a corona in attesa della presa di spuma. Questa è la fase in cui non avere fretta, il lavoro dei lieviti all’interno della bottiglia più prolungato è, più darà origine a una bollicina fine e rilascerà sentori complessi al vino. Ad un certo punto, raggiunto l’affinamento desiderato, si deve sboccare. Di solito la faccia del cliente di fronte alla parola “Sboccato” va dallo schifato all’incuriosito, per uscire dall’empasse spesso uso il termine francese, lingua che fa sempre sembrare tutto un po’ più sofisticato: “Degorgè”. Degorgement o sboccatura che si voglia dire, con questo termine si indica le pratica della rimozione dei residui di fermentazione dal vino che risulterà così limpido e pulito nel calice. Per farlo le bottiglie (che hanno sostato anche per anni in orizzontale) vengono lentamente portate in posizione verticale attraverso il remuage, affinchè le fecce si depositino in un compatto bussolotto nel collo della bottiglia. Il collo della bottiglia viene quindi congelato per rendere più semplice l’espulsione del bussolotto. La sboccatura porta inevitabilmente alla perdita di un po’ di volume di liquido all’interno della bottiglia che viene infine ricolmata con l’aggiunta del liquer de expedition che è poi la cifra identificativa di ogni metodo classico, tanto che le grandi maison dello Champagne custodiscono gelosamente segreta la sua formulazione.

 

  1. Più brut che dry. Proprio dopo la sboccatura, mediante l’aggiunta della liquer lo spumante può anche essere dosato, ovvero può essere addizionato di zuccheri. La quantità di zuccheri finali ne stabilisce la classificazione in dolce, dry, extra-dry, brut, extra-brut o pas dose. Non fatevi fregare dai vostri diplomi TOEFL o IELTS, anche se dry significa secco in inglese nel campo delle bolle tutto si complica e si mescola con il francese: lo spumante Dry è infatti molto più dolce di un Extra Brut!

 

  1. Il fondo non fa male alla salute. Avete presente quelle bottiglie tappate con il tappo a corona e vendute ad un prezzo molto concorrenziale? Sono spumanti non sboccati. Infatti, se guarderete con attenzione contengono ancora lo straterello di lieviti fermentatori sul fondo (più o meno evidente). Si tratta di una tipologia di bollicina che, sebbene molto antica, è tornata in auge negli ultimi anni soprattutto nel mondo del vino naturale dove è missione per tutti i produttori intervenire il meno possibile sul vino. Tendenzialmente meno complessi dei metodi classici in quanto la presa di spuma dura all’incirca 5-6 mesi, i rifermentati sono eccezionali compagni di merende per chi abbia tanta sete e altrettanta voglia di vacanza. Un consiglio ai neofiti, non schifate il fondo torbido che comparirà nell’ultimo calice: è come la punta del Cornetto Algida.

 

  1. Lambrusco, basta pregiudizi! “Ciao, ho fatto le lasagne. Cosa ci abbino?”. Lambrusco, ovvio, non c’è nemmeno da pensarci su. “No, no, Lambrusco no. Non mi piace.” Ma perché santocielo? Non è nel mio stile polemizzare, semmai incuriosire. Quindi perché non provate? un bicchiere non ha mai ucciso nessuno e ho sentito di molte anime – e tante lasagne – salvate dal Lambrusco.

 

  1. Quando assaggi una bolla, non la agitare. Lungi da me che non sono nemmeno sommelier dare specifiche note sulla degustazione. Una cosa però ve la voglio dire, così come è stata detta a me alcuni fa quando inciampavo nell’errore di agitare il calice al momento dell’assaggio di una bolla. “Ci hanno messo anni a farle, chi sei tu per romperle così in una manciata di secondi?” E già chi sono io? Chiedetevelo e lo spumante vi ringrazierà.

 

Se come spero, leggere questo mio dissacrante glossario e prontuario alla degustazione consapevole del vino spumante vi avesse messo sete, qui di seguito vi segnalo alcuni vini con le bolle a cui sono particolarmente affezionata, come sempre la lista è in aggiornamento, un po’ come i miei gusti e le mie suggestioni del momento.

  1. Prosecco Col Fondo di Col Tamarie
  2. I rifermentati di Costedilà
  3. Balos di Crocizia (e tutti i rifermentati di Crocizia in generale!)
  4. Gli spumanti di Ca’ del Vent in Franciacorta
  5. Il Fortana di Mirco Mariotti
  6. Gli spumanti di Cà dei Noci
  7. Spergola e Lambrusco di Podere Magia
  8. I Cava di Clos Lentiscus
  9. Il Cremant Double Zero di Geschickt
  10. Champagne Les Mourgieres di Francis Boulard
  11. Bolla di Tenuta L’Armonia

Se invece voleste scendere sul campo e iniziare a partecipare a qualche bell’evento con chi di spumantizzazione ne sa qualcosa vi segnalo di seguire la pagina di Emilia Sur Lì. Una bella e dinamica associazione di produttori emiliani che ogni anno organizzano eventi e feste per promuovere, vendere e raccontare i loro vini (qui i racconti delle edizioni 2018 e 2019). Nel 2020 causa pandemia la festa si è svolta solo a livello virtuale, quest’anno invece, complice la timida ripartenza, l’appuntamento è il 15 giugno a Bologna per una serata in compagnia non solo di bolle e vignaioli ma anche del manipolo degli OstiNati.

Buon inizio d’estate a tutti e ricordate: si fermenta per vivere ma si vive per rifermentare!