2003-2023: TANTI AUGURI TRIPLE-A

2003-2023: TANTI AUGURI TRIPLE-A

Marzo 17, 2023 1 Di lasecondadolescenza

Avere vent’anni anni… e un giorno

“Vent’anni tra milioni di persone, che intorno a te inventano l’inferno. Ti scopri a cantare una canzone, cercare nel tuo caos un punto fermo. […]

Vent’anni e il vecchio mondo ti coinvolge, nel suo infinito gioco di pazienza, se smusserai il tuo angolo che sporge, sarai incastrato senza resistenza, vent’anni prima prova di esperienza. […]

Vent’anni strano punto a mezza strada, il senso dei tuoi giorni si nasconde, oltre quella collina mai scalata, di là dal mare e dietro le sue onde, vent’anni rabbia sete e acqua salata.”

Vent’Anni – Claudio Lolli – 1975

 

Se penso a tre A scritte in fila mi viene in mente “AAA Cercasi”. Si leggeva spesso sui quotidiani, tre A che servivano per portare l’annuncio in testa ad una lista alfabetica. Ancora, mi viene in mente quando devo cambiare una pila in casa e non so mai se AA è più grande o più piccola di AAA. Con una ricerchina sull’internet scopro che è anche l’acronimo di una band giapponese nata nel 2005. Così, tanto per,
magari li ascolto.

Ricordo però un giorno di un po’ di anni fa, sarà stato il 2017 o giù di lì, quando su una maglietta di un ragazzo in giro per Milano lessi in stampatello maiuscolo: Agricoltori, Artigiani, Artisti. Mi parve subito un manifesto.

Non mi sbagliavo. Era il 2001 quando Luca Gargano – piemontese cresciuto tra suo nonno agricoltore e suo padre impiegato nella più grande ditta di import alcolici in Italia – scelse con cura quelle tre parole: che fossero simboli, ma anche ingredienti, che rimanessero facili ed impresse, come un tratto di penna su un foglio.

Agricoltori, Artigiani, Artisti: tre “doti” basilari dell’uomo che applicate al lavoro su e con la terra accompagnano la nascita di un grande vino, un vino TripleA. Attorno ad esse si è sviluppato un decalogo che delinea precise regole produttive da rispettare, tra cui un approccio agricolo di tipo biologico, fermentazioni spontanee operate da lieviti indigeni, la completa esclusione di additivi (fatta eccezione per l’anidride solforosa) e coadiuvanti nonché di tecniche di cantina invasive.

Agricoltori, perché non c’è vino senza terra, artigiani, perché quella terra dev’essere lavorata direttamente dalle mani di chi metterà il vino in bottiglia. E poi c’è la A di Artisti, che è sempre stata la mia A preferita. Sarà perché volevo iscrivermi a Storia dell’Arte dopo il Liceo, ma io nel vino ho sempre sentito molta arte per la capacità di un’uva, di un’etichetta, di una DOC di raccontare la Storia – quella della S maiuscola – da un altro punto di vista, così come fanno i dipinti, le statue, i libri.

La differenza tra vino e vino “artistico” sta nell’attraversabilità. Un vino d’arte nasce dalle mani artigianali di un vignaiolo, ma si fa attraversare dalla sua sensibilità, si fa tramite di un messaggio che mette in connessione una vigna e il suo contesto con chiunque abbia altrettanta sensibilità, anche a centinaia di migliaia di chilometri di distanza.

Questa attraversabilità è quello che porto a casa dopo aver trascorso la giornata di festa a Palazzo Albergati, appena fuori dal centro di Bologna per i vent’anni di quel manifesto. Tante, tantissime persone: 2000 ospiti, una novantina di produttori da 13 paesi, e una energia che si trasferiva dagli uni agli altri, attraverso l’assaggio del vino e del cibo (erano presenti anche i produttori della Dispensa TripleA, perché l’agricoltura artistica, non può e non deve fermarsi alla vigna).

Ho passato circa dieci ore all’assaggio e, sarà banale dirvelo, ma dieci ore letteralmente volate: non ho mancato i banchetti di alcuni vignaioli iconici che hanno attraversato l’Europa per esserci, ho salutato i figli d’arte di grandi assenti, ho assaggiato alcuni nomi per me nuovi e ho ritrovato amici entrati da poco nella famiglia TripleA, emozionati come il gruppo spalla degli Stones.

Ho letto ieri queste parole scritte su Instagram da Stefano Pescarmona, produttore emiliano da un paio d’anni in catalogo: “Non vi dico quanti produttori che stimo ci sono dentro questa selezione. Esserci anch’io, dopo dieci anni di grande impegno, quasi quasi mi commuove.”

Mi ci sono riconosciuta, perché anche per me essere lì, partecipare come comunicatrice del vino, a sei anni dalla nascita di queste pagine di blog su cui mi state leggendo è stato emozionante. E anche confortante. Non è semplice parlare di artigianalità, di agricoltura, non so se vi assocerete al mio pensiero, ma nella mia esperienza spesso vengo fatta passare per la solita radical chic, o per la ragazza naif che crede in una decrescita felice. Quando invece il mio pensiero è tutt’altro che delicato ed ingenuo, ma rivoluzionario e potente, a tratti irruente, poco incline al compromesso (l’agricoltura o è sana o non lo è, non esistono mezzi bio o mezzi biodinamici).

Non è semplice e il regalo che ho ricevuto lunedì 13 a Palazzo Albergati è stato quello di passare una giornata tra simili, una giornata in cui poter esprimere liberamente le mie opinioni, una giornata in cui non avere paura – parafrasando le parole di Claudio Lolli – di quelli che “intorno a te inventano [l’inferno] la moda del vino naturale”.

La moda del vino naturale non esiste. O meglio, esiste chi non ha neppure voluto scalfire la superficie filosofica ed etica del vino artigianale e lo ha incanalato nei binari fin troppo battuti del mercato globale trasformandolo in moda appunto, vestendolo di una bella etichetta, ma svuotandolo di ogni contenuto. Il problema è nel nome – suggerisce Luca Gargano – ricordando come nel 2000 contro quel vino che ora si ha il coraggio di chiamare “vino di moda”, si siano scagliati la borghesia del vino e la maggior parte dei media.

Il vino Triple A è vino punto. E prosegue: “Le prime due A sono state fondamentali per distinguere, nella fase più accesa della rivoluzione il vino dalle bevande legalmente autorizzate a usare lo stesso nome. Ora, che da più parti provano ad appropriarsi dei valori fondanti della rivoluzione, la terza A diventa la qualità per riconoscere chi metta in pratica una vara agricoltura artistica.”

Oggi, vent’anni dopo essersi fatto pioniere di un gusto rivoluzionario e padre fondatore di un mercato internazionale legato a questa filosofia produttiva, a Bologna il movimento delle TripleA si è mostrato nel pieno delle sue forze. Il messaggio è chiaro: oggi facciamo festa, ma domani, dopo vent’anni e un giorno, rimettiamoci in marcia perché il lavoro è tutt’altro che concluso. Lo scetticismo, il capitalismo becero, l’ignoranza, sono sempre pronti a fagocitare il mondo del vino artigianale che – per quanto in crescita – non super l’6% della produzione (dati 2022 sull’Italia in relazione al bio, che non è per forza naturale).

Che fare dunque? Comunicare, informare, spiegare, conquistare i bevitori cercando di stregarli con la stessa magia dell’agricoltura che anni fa ha stregato noi. Riempire di contenuto ciò che gli altri cercano di svuotare e rendere pura immagine senza vita.

È una lenta e costante evangelizzazione laica la nostra, mi permetto di dire, quella di chi lavora in TripleA e quella di chi con TripleA collabora scegliendo di proporre nel suo locale questi vini e questi cibi sapendo di non accontentare i più, ma di conquistare i pochi. E sono loro, quei pochi, quelli di cui abbiamo bisogno. Non serve essere di più degli altri per avere ragione, serve avere una sensibilità più grande.

Oggi, vent’anni dopo, è quanto più urgente, scegliere da che parte stare.