‘A Vita –  Rosato

‘A Vita – Rosato

Gennaio 27, 2022 0 Di lasecondadolescenza

“Si può togliere un calabrese dalla Calabria,

ma non la Calabria da un calabrese.”

 

Com’è bello il rosato di ‘A Vitavitalizzato nel gusto dall’orgoglio di poter scrivere in etichetta 100% Gaglioppo a firma di una rivoluzione vinta senza cannoni ma con la forza di credere nell’unica cosa che non si può rubare. L’appartenenza.

Una bandiera sventola a Cirò ed è quella issata a difesa di un vino da Francesco De Franco e da tutti quelli che con lui hanno intravisto un futuro diverso per la loro viticoltura e facendo breccia nell’immaginario collettivo di tutti noi lo hanno reso un presente che fa dimenticare la Calabria dei vini carichi e concentrati con la leggiadria di un vitigno scarico e asciutto restituito finalmente nel bicchiere con la sua vera indole.

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Nonostante la sua bellezza e la sua ricchezza enogastronomica, si parla sempre troppo poco della Calabria e quando lo si fa spesso è perché l’autostrada Salerno-Reggio è intasata e piena di buche, perché quel tale assessore è stato corrotto o per l’ennesimo regolamento di conti tra clan. Un vero peccato, causato da anni di mala-informazione e malavita. Perché la Calabria è tanto altro: una terra ancestrale, permeata da una affascinante essenza incontaminata e selvaggia.

Enotria, così veniva chiamata in antichità, la terra del vino. Eppure, per quanti anni nessuno se ne è più ricordato? In effetti pochi luoghi come la Calabria possono vantare tante aree vocate dove coltivare la vite, sulla costa come in montagna, e tanta biodiversità se pensiamo alle decine di varietà autoctone, molte sconosciute anche ai calabresi stessi.

Una di queste è il Gaglioppo, dal greco “bellissimo piede” per la perfezione dei suoi grappoli maturi. Un’uva prestigiosa, alla base del Cirò, molto conosciuto anche fuori dai confini della Calabria. Un vino che era già un fuoriclasse all’epoca della Magna Grecia quando nell’antica città costiera di Cremissa, l’antica Cirò appunto, si produceva il vino Krimisa, così buono da essere offerto addirittura agli atleti vincitori delle Olimpiadi che si svolgevano in Grecia. Il vino calabro dunque doveva viaggiare dall’Italia alla Grecia e si narra che nel porto di Sibari furono costruiti veri e propri “enodotti” per trasportare il vino Krimisa dalle cantine fino alle anfore di terracotta caricate sulle navi pronte a salpare.

Insomma, si può dire che duemila anni fa ci fu chi non si lasciò sfuggire la fortuna di questa lingua allungata di terra per la viticoltura, una predisposizione che invece è poi sfuggita a noi uomini “moderni”. Però nulla avviene per caso, ma c’è sempre lo zampino della grande Storia. L’abbandono del vino in Calabria infatti va di pari passo con due grandi eventi: la diffusione nella regione dell’epidemia di fillossera e l’emigrazione. E i due avvenimenti furono ancor più disastrosi anche perché accaddero entrambi a partire dalla fine dell’Ottocento e così, mentre interi cognomi sparivano dall’Aspromonte per ricomparire nel Nord d’Italia o in Argentina, le viti morivano e nessuno si occupava di ripiantarle in una campagna ormai in stato d’abbandono.

“Il viaggio” così veniva chiamato quella ferita profonda che i calabresi – ormai perduta ogni speranza di poter vivere dignitosamente nella loro terra – decidevano di infliggersi per provare a trovarla altrove. Ma si dice che si possa togliere un calabrese dalla Calabria, ma non la Calabria da un calabrese.

E così negli ultimi anni sempre più spesso capita che qualcuno, quel viaggio, decida di farlo al contrario. Come moderni pollicini, questi pochi “avventurieri del ritorno” ritrovano la strada di casa e ritornano alla loro terra. Sì, proprio quella stessa terra che anni prima aveva tradito i loro genitori o nonni, ma che ora si trasforma nell’unico luogo capace di renderli felici.

È questa la storia di Francesco De Franco, per oltre vent’anni architetto di successo, oggi viticoltore a Cirò Marina. Un viaggio prima solo pensato durante anni trascorsi in città, poi un viaggio realizzato fino alle radici di un territorio, di un vino e di sé stesso.

Avendo già seguito corsi di enologia in Veneto, pochi anni dopo il suo ritorno, Francesco inizia ad imbottigliare sotto il nome di ‘A Vita il suo personale Cirò. Prodotto da sole uve Gaglioppo in purezza, senza additivi chimici in vigna e senza aggiustamenti in cantina, il vino di Francesco è personale istantanea del luogo in cui cresce. Asciutto, aspro e scarico di colore, nella sua semplicità un vino che non intendeva scendere a compromessi. Ed eccola la rivoluzione di cui parlavamo, si può dire che esista un Cirò prima e un dopo ‘A vita che divenne, di lì a pochi anni, un modello da seguire per tutti quei produttori vicini che la pensavano come lui. Per la prima volta in Calabria nasceva una vera e propria squadra di piccoli grandi uomini con tanta voglia di riscattare il proprio territorio. Una rivoluzione appunto, la Cirò Revolution!

L’elemento scatenante che unì ancora di più il gruppo fu il nuovo disciplinare di produzione per la DOC del Cirò Classico del 2010 nel quale veniva concesso ai produttori di mescolare al Gaglioppo fino ad un 20% di altre varietà. Tutto ad unico scopo: rendere il Cirò un vino carico e fruttato, certo più amato da un certo tipo di consumatori, ma un vino senz’anima. Un Cirò senza Calabria.

Questo manipolo di vignaioli controcorrente, dei moderni Ciro boys come qualcuno li ha soprannominati, decisero che quello non era il Cirò in cui si rispecchiavano e con passione e una punta di incoscienza lavorarono per preparare il terreno ad un mercato nuovo in grado di accogliere il loro vino, che appariva come il vino del futuro, ma era in realtà il gusto antico che riprendeva vita.

C’è voglia di stravolgere il gusto, di portare sulle tavole delle persone finalmente un vino che parli calabrese. C’è voglia di riportare alla ribalta una regione troppo a lungo dimenticata o peggio associata a prodotti e vini di scarsa qualità. La Calabria oggi è un’immagine tridimensionale in continua evoluzione, dal vino al cibo, dalla montagna alle spiagge caraibiche, dal folklore alla tecnologia: una terra che cerca il suo riscatto e con orgoglio lo sta trovando nella bellezza del fare squadra.

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Se volete approfondire l’argomento vi lascio il link per una bella intervista condotta da Cristina Rombolà per Vice

Inoltre se vi fosse venuta (speriamo) sete, vi segnalo che il vino di Francesco oltre che in bottiglia si può reperire rosso e sfuso, qui il link con ulteriori informazioni