Sette come i colori dell’arcobaleno

Sette come i colori dell’arcobaleno

Novembre 12, 2021 2 Di lasecondadolescenza

Il mio Vini di Vignaioli

di assaggi nuovi, abbracci ritrovati e auto nel fango

Comunque vada sarà un successo si diceva. È andata ed è stata un successo, anzi un successone. Nella nuova location davvero grande a Varano de Melegari, Vini di Vignaioli è andato come doveva andare, come è sempre andato, pioggia compresa che il lunedì ha infangato tutto il parcheggio creandomi qualche difficoltà con la mia povera Peugeot impantanata, ma questa è un’altra storia.

Vini di Vignaioli come sempre, o forse meglio, perché è stato un evento simbolo della voglia di ripartire, perché si vedevano in giro più abbracci che calici, o quasi insomma, perché bevuto si è bevuto. Tantissimi i nomi storici della manifestazione con i loro fondatori in presenza a mescere il loro vino, la loro filosofia e il loro territorio. Penso a Elena Pantaleoni, a Federico Staderini, a Franco Terpin, a Stefano Amerighi, a Alessandra Bera, a Natalino Del Prete.

Ho voluto però in questa paginetta di blog raccontarvi quelli che sono stati gli assaggi nuovi, o quanto meno nuovi per me: ne ho scelti sette (che fatica!!) perché sette sono i giorni della settimana, sette le note, ma soprattutto sette i colori dell’arcobaleno che mai come in questi tempi oscuri di DDL mancati mi sembra importante ricordare. Come simbolo e come significante.

Sassopra – vignaioli a Frascati

Abbracci più a fuoco dei vini

Partiamo dal principio: si dice sassòsopra e non sàsso-sòpra. Ci tengono i ragazzi che nel 2020 – anno felicissimo – hanno preso 5 ettari di vigna nei Castelli Romani e hanno ragione a tenerci. Ormai nessuno tiene più a niente, come mille banderuole al vento. Passiamo troppo tempo a tralasciare i dettagli piuttosto che a crearli. Eppure, i dettagli sono belli, ornano le nostre giornate come merletti o gioielli, danno ritmo, stimolano l’attenzione, dunque l’intelligenza. Sarà un dettaglio, ma le uve di Malvasia Puntinata e Bombino del Turresti (espressione commutata da un romanesco modo di dire durante il gioco delle carte) sono state fatte fermentare in tini di legno nella vigna. Dentro la vigna. Accanto ai tralci, si. È un dettaglio, di una bellezza emozionante. Non lo so se non farlo avrebbe cambiato il gusto – per altro sorprendente, lungo, ossidativo, complesso – del Turresti, non lo sanno neppure Marta e Federico, ma continueranno a farlo perché ci credono, nei gesti, nei rituali che custodiscono quel tocco di magia che insieme ai dettagli fa risplendere la nostra vita.

 

Luca Ferrero – the king of Freisa

Signore e signori, mesdames et messieurs: ecco a voi The King of Freisa, Luca Ferrero. Dopo aver già raccontato un piccolo estratto della vita come viticoltore a Pino d’Asti in occasione del suo ingresso nel circuito di Sfusobuono, Vini di Vignaioli è stata l’occasione di conoscerci di persona e soprattutto per assaggiare le sue tante declinazioni di Freisa, il vitigno autoctono che gli ha stregato il cuore. E parlando di Freisa è proprio il caso di invertire il detto “Mater semper certa est, pater numquam” perché recenti indagini genetiche volte ad indagare le origini di questa bella e duttile uva astigiana hanno rivelato parentele certe con il Nebbiolo di cui sarebbe figlia, con Avanà per madre ma chissà. Ma esco subito da questo Beautiful versione vitigni perché al di là dei genitori è oggi la Freisa a meritarsi un’intera serie tv a lei dedicata, ed è forse così che possono essere raccontati i vini di Luca come puntate di una stessa miniserie sulla vita e i miracoli di una grande, dolce e divertente uva: Blenda, Casot, Rossoametà… iniziate lo zapping

 

Riccardi Reale – principe del Cesanese

Quanto mi piace il Cesanese, mi sta simpatico. Che non mi possono stare simpatici i vitigni? Vedete, penso al Cesanese e mi viene da parlare romano, da cucinare l’amatriciana senza cipolla e mandare a stendere questa zozza società. Conoscevo già quello di alcuni bei produttori laziali, ma mea culpa, non
avevo assaggiato quello di Lorella Reale titolare insieme al compagno Piero Riccardi di una piccola azienda tra i comuni di Bellegra e Olevano in quella terra che fu dei nonni di Piero e dei genitori poi. La località Colle Pazzo a 300 metri sul livello del mare è tutta dedicata al Cesanese – biotipo di Affile e Piccolo. Colle pazzo sul serio, a partire dai terreni per metà di natura vulcanica rossastra, per l’altra invece composto da arenarie emerse nel Cretaceo: ne sgorgano mi viene da dire due versioni di Cesanese incredibili nella loro diversità speculare, il Neccio dai primi e il Calitro dai secondi. Poche volte mi è capitato di ricevere lo specchio di un terreno nel bicchiere come con questi due vini, un assaggio sorprendente a cui non riesco a non continuare a pensare.

 

La resistenza di Alberto Lot

“Bronner, dududu, in cerca di guai” o in cerca di Alberto Lot o Alberto Lot in cerca di Bronner ancora devo decidere. Etichette mai viste, vignaiolo mai sentito, ma friulano come metà di me: tre valide ragioni per fermarmi incuriosita ad assaggiare i vini di questo vignaiolo con cantina a Sacile che da qualche anno ha affiancato alla sua primaria attività come insegnante quella del recupero di una parte dei terreni che erano del nonno in quella terra di mezzo tra Veneto e Friuli, un confine tracciato con naturalità dal fiume Livenza. Impiantare il Bronner è stata la sua scelta, forse sarà intuizione visto i caldi in arrivo nei prossimi anni. Per ora è presentato in due versioni: rifermentato – succoso e pieno di aromi – fermo e macerato – in cui questi stessi aromi evolvono, confondono, stimolano una beva veloce, gustosissima. Da provare dicevo, nella loro spontaneità, come spontanee sono le etichette disegnate ad acquerello dalle sue bimbe.

 

Rarefatti e Rarefratte

Piccolo strappo alla regola perché in effetti i vini di Rarefratte li avevo già conosciuti durante l’ultima edizione dei VdV nel 2019 quando erano se non sbaglio alla prima annata. La rivelazione è stata ritrovare la coppia Cristian e Arianna di Breganze a distanza di due anni con la stessa filosofia puro-minimalista (tutti vini mono-varietali da piante semiscomparse, trovate tutto raccontato qui) con un figlioletto a gattoni e con qualche etichetta nuova come la Pedeveska, voluto gioco di parole tra l’autoctono Pedevenda e la Vitoska carsica, territorio a cui Cristian si è ispirato anche per la sua vinificazione con 6 giorni di macerazione sulle bucce. Meno crudo ed ossuto degli altri vini Rarefratte, la Pedeveska con il suo equilibrio, il tannino giusto, il frutto ponderato, si fa baricentro e rimette la palla al centro in una goliardica partita a biliardino tra Italia e Slovenia.

 

Koi come la carpa

In via del tutto frivola e occasionale da quando quest’estate ho passato una simpatica serata enoica (ed eroica) a Bologna in compagnia di amici nerd vinnaturisti come me ho iniziato ad scoprire e ad assaggiare alcuni vini fatti vicino se non addirittura dentro Bologna. L’onda bolognese la definirei. Cercherò presto di raccogliere le idee e raccontarvela. Intanto ho sfruttato la mia occasione a Vini di Vignaioli per conoscere uno dei surfisti di questa onda: Flavio Restani di Agri Koi. Si, come la carpa che nella cultura giapponese è simbolo di simbolo di tenacia e anticonformismo, proprio quello che è servito a Flavio per portarlo a recuperare nei suoi vigneti l’impianto tradizionale a “bellussi”, ovvero a raggi, studiato per combattere la peronospora allontanando i tralci dal terreno ma anche per permettere grazie agli ampi corridoi tra i filari di intervallare alla coltivazione della vite quella degli ortaggi e dei gelsi a cui le viti erano spesso maritate. Piccoli ecosistemi, paesaggi agricoli che disegnano la necessità di produrre il più possibile per sfamare la famiglia al tempo della mezzadria. Una bella storia, un interessante progetto agricolo, ma il vino? Il suo pignoletto rifermentato è una sferzata di frutto a capriole, una bollicina che non spinge solo sull’acidità, ma la lascia in armoniosa combinazione con la pesca e la mandorla finale. Un vero pet-nat gastronomico e amichevole.

 

L’alchimia segreta di Casteldelpiano

Il Pinot Nero di Castel del Piano in Lunigiana

Si può fare un grande pinot nero in Lunigiana? Non credo che in molti ci avessero pensato prima di Castel del Piano che ha però intuito nelle forti escursioni termiche della loro località favorite anche dal vicino corso del fiume Taverone la chiave per un’espressione elegante e profonda del principe di tutti i rossi che ritrovo nel bicchiere del loro Melampo. Un grande amore per il vino alla base della scelta di Sabina e Andrea di trasferirsi nel 2000 nella poco conosciuta Lunigiana, in un podere di un piccolo Castello nascosto e abbandonato e impiantare grandi uve come Pinot Nero, Pinot grigio e Chardonnay. Un’avventura però non è mai tale senza colpo di scena ed ecco quindi la scoperta delle tantissime
varietà autoctone che popolavano quei pendii probabilmente portate dai viandanti lungo la via del sale. Pollera, marinello, uslina, pinzamosca per citarne alcune dai nomi più curiosi, oggi quindi fanno compagnia agli internazionali e a volte giocano a coppia nei vini di Sabina ed Andrea che attraverso un’agricoltura pulita e poco interventista si sono resi inconsapevoli custodi di un luogo magico e di una biodiversità inestimabile.

 

Non resta che rivederci in Francia il 5-6 dicembre per Vini di Vignaioli a Parigi

Christine Cogez, l’organizzatrice, con l’amica e vignaiola Alessandra Bera

 

Ancora curiosi su tanti nomi del vino naturale?

Leggi il racconto di Vini di Vignaioli 2019