Vini di Vignaioli – 2019

Vini di Vignaioli – 2019

Novembre 11, 2019 0 Di lasecondadolescenza

Quel che non uccide fortifica

Oggi, ad una settimana di distanza e dopo aver recuperato il corretto posizionamento dei miei organi interni compromessi da una non-stop alcolica di quasi 24 ore, sono pronta a raccontarvi quel che più mi è rimasto dell’ultima edizione di Vini di Vignaioli a Fornovo di Taro.

Una di quelle fiere di riferimento per tutti gli appassionati di vino naturale, il capannone gestito dalla pro-loco di Fornovo per due giorni compie il miracolo profano di riunire vignaioli di altissimo livelli – tra cui molti nomi noti difficili da incontrare in altre manifestazioni – in un’atmosfera di festa che si conclude ogni anno nella leggendaria cena a “La curva dei baci” organizzata da Diego del Tabarro, storica osteria del centro di Parma.

Sono anni che giro per fiere di vino naturale, per capire che ogni fiera è un microcosmo autonomo, che non c’è mai qualcosa che si ripete. Così è anche per gli assaggi, trovi sempre qualcosa che non ti aspetti, che ti lascia perplesso ma che al tempo stesso non se ne andrà più via dalla tua memoria.

Alcol e chiacchiere a fiumi, la mia prima volta a Fornovo ha seriamente rischiato di essere anche l’ultima ma, non essendo evidentemente morta, questa domenica parmense è servita ad arricchire la mia visione e le mie opinioni sul mondo del vino naturale e i suoi abitanti. Perché quel che non uccide, fortifica.

 

Primo abitante a cui mi sono avvicinata è stato Stefano Amerighi, che non ha certo bisogno della mia presentazione. Con i suoi modi pacati e il suo carisma empatico, Stefano mi ha versato un assaggio del suo Apice 2016, il suo Syrah “superiore”, prodotto solo nelle annate migliori, quando la natura decide che è possibile raggiungerlo, l’apice.  Perché Stefano è così, non forza la mano, non fa a gara a chi grida più forte, cammina solcando un percorso preciso nella vinificazione naturale che fa scuola in chi ha il piacere di accompagnarlo lungo la strada. Un vino lungo e rinfrancante, con il gusto delle cose fatte per bene. Un piacere da ripetere.

Passeggiando per la fiera poi ti può capitare di trovare un Foglia Tonda in purezza, quello dell’azienda biodinamica Podere Casaccia, che vicino a Firenze ha fatto del recupero dei vitigni autoctoni toscani il suo simbolo. Abbandonati perché difficili da lavorare o poco produttivi, tutte queste antiche varietà godono nelle mani di Roberto Moretti di una seconda gioventù.  Foglia tonda appunto, ma anche Malvasia nera, Pugnitello, Canaiolo – lavorati in purezza – raccontano il loro enorme potenziale e la loro capacità di non impallidire al cospetto dei grandi internazionali, ma anzi di costruirsi una nicchia per chi voglia allontanarsi dai rassicuranti gusti codificati del vino industriale.

Ma la passione per il recupero e il rilancio delle qualità autoctone non premiate dall’avvento dell’agricoltura industriale negli anni 70 non è certo prerogativa di una o poche aziende, anzi rappresenta uno dei manifesti del mondo del vino naturale e in tanti si stanno impegnando con il loro lavoro in campagna proprio per la salvaguardia di questa biodiversità.

Penso ai simpatici ragazzi di Rarefratte, una delle rivelazioni più interessanti della giornata. E’ il 2012 quando Cristian prende in gestione un antico vigneto nella zona di Breganze, nell’alto vicentino. Solo varietà autoctone, molte sconosciute, alcune quasi in via d’estinzione: una palestra dove mettere in pratica i suoi sogni di un’agricoltura rispettosa e di un mondo più giusto in cui vivere. L’azienda inizia a rappresentare così un’ideale e una filosofia e il percorso di Cristian come vinificatore quello di Cristian come persona che viaggiando e raccogliendo i racconti di esperti e contadini cresce e matura fino a riuscire ad imbottigliare il risultato dei suoi mille esprimenti. E sono vini unici, non replicabili, che – come sopravvissuti da una guerra atomica – scavallano le consuetudini e vanno dritto al sodo. Gruaja, Pedevenda, Groppella di Breganze, Marzemina Bianca, Vespaiola, Glera lunga questi i nomi dei reduci, che arrivano nel calice senza abbellimenti e con i segni di qualche ferita: vini crudissimi, quasi feroci negli spigoli sporgenti, ma con un’anima generosa ed onesta. Vini di resistenza.

 

 

Ma quanto a progetti originali e personali il Veneto in questi ultimi anni sta dando soddisfazioni rallegrando le fiere di bevute spensierate a suon di bestemmie. Laiche ovviamente.

Come colonne d’Ercole, la squadra di Tenuta l’Armonia capitanava l’ultima fila del capanonne. Impossibile passare di lì senza bere qualcosa, evidenti i segni su ciascuno di noi dopo una mezz’ora passata al loro banchetto. Tantissimi infatti le novità che Andrea Pendin ha portato con sé. A partire dai i divertenti Tim e Nardo di Doline di cui vi ho già raccontato qui, le francesissime bollicine Hey Boy, Hey Girl di Old Boy e la linea completa di MaterVi. Vignaiolo da sempre, Alberto oggi cura da solo tre ettari a Breganze e – tra gli altri – imbottiglia una super rock Vespaiola in purezza, il Vesplicito, un vino bianco deciso, lineare, immediato che non te la manda a dire e ha un’idea molto precisa di dove vuole andare.

Ma novità delle novità è stata la presentazione delle nuove etichette del progetto LAB. Fondo nero, disegni provocatori e scritte irriverenti, LAB si colloca a buon diritto al limite tra trash, follia e intuizione e si garantisce il fatto di non passare mai inosservato. Non ne avete mai provato uno? Inizierei con Appecora, il progetto in collaborazione con Max d’Addario di Marina Palusci in Abruzzo. Così poi vi verrà anche una voglia incredibile di bere tutti i vini di Max che con il suo Pecorino e il suo Montepulciano Plenus riesce a catturare l’anima di un Abruzzo agricolo e autentico.

E’ stato un grande piacere rincontrare Simona e Giuliano di Podere Orto e scoprire che il loro vino “accidentale” Amai di cui vi avevo raccontato qualche mese fa (qui) ha conquistato così tante persone da essere entrato a far parte della loro linea produttiva. Amai, miscellanea di tutte le mille varietà recuperate attorno al Podere Orto, nasceva infatti come vino di recupero in seguito ad una tremenda grandinata che aveva compromesso gran parte della produzione impedendo le lavorazioni in purezza, ma proprio come i figli unici ha accentrato tutto l’amore di Simona e Giuliano per il loro progetto e lo ha comunicato diventando simbolo di comunque rimane in piedi. E ora Amai è anche un libro, delicato racconto del loro cambio vita, della loro famiglia e della terra tutto intorno.

 

 

A distanza di almeno un anno dall’ultima volta, a Vini di Vignaioli ho potuto riassaggiare “il Nebbiolo secondo Fabio Gea”. Nato in quelle terre, quello di Fabio come vinificatore sperimentale è relativamente recente e comincia quando, meno di 10 anni fa, decide di lavorare le vige del nonno sul Bricco di Neive. E sceglie di farlo libero da ogni schema e da ogni disciplinare – naturale, bio, biodinamico che sia – per arrivare ad imbottigliare la sua idea di Langa. E un’idea Fabio ce l’aveva, scontrosa e inospitale, ma elegante e chic come le splendide anfore in porcellana o gres in cui fa riposare tutti i suoi vini. Qualcosa che in Piemonte non si era mai visto, follia forse lavorando con vitigni così tannici, ma Fabio non si dilunga in spiegazioni, ti fa di assaggiare il risultato di anni di micro-vinificazioni e lascia che sia il suo vino a parlare. E così il suo Barbaresco parla una lingua strana, dialetto misto ad aramaico, e ci si ritrova dentro tutto quello che ami del Nebbiolo, ma anche tutto quello che mai avresti pensato di trovare in un Nebbiolo. Un vino aleph, un punto multicolore, puro concentrato di energia vitale.

L’assaggio più intrigante del pomeriggio l’ho scovato andando molto più a Sud e assaggiando i vini di uno dei vignaioli naturali a cui sono più affezionata, Raffaello Annichiarico di Podere Veneri Vecchio. Ma questa volta la sua fantasia si è spinta fino ai confini di quello che potremmo definire il “vino fino ad oggi conosciuto”, superandoli e aprendo nuovi orizzonti. In sordina, dietro un’etichetta che nella sua delicata eleganza poco lascia trasparire della rivoluzione al suo interno, Raffaello è riuscito ad imbottigliare un vino che sradica preconcetti e intontisce le papille gustative. Fuorirotta l’ha chiamato. Non avrei saputo definirlo meglio. Grieco e Cerreto lasciati in infusione con un mix di erbe aromatiche e spezie (rosmarino, timo, alloro, salvia, mirto, cannella, zenzero…) che sa di alchimia e di elisir medioevale. Un sorso che è un cortocircuito intellettuale ed emotivo. Fuori da ogni classificazione. Un gusto che è pura arte, ogni aroma come una pennellata disegna un cerchio perfetto tra radici, viti, erbe spontanee, cielo e aria. Un cerchio infinito e autoalimentato. Il manifesto della libertà di un vignaiolo che – padrone della sua abilità da vinificatore – decide di raccontarci il suo amore per la sua terra e i suoi ritmi lenti, i suoi sapori timidi e i suoi gesti semplici.

Ahimè, anche questa volta la mia ignoranza sulla Francia non è stata minimamente colmata, ma il mio unico assaggio estero ha aiutato a mettere qualche base. Sto parlando degli Chardonnay di Vergè presentati da Andrea Sala. Perché i vigneti di Gilles e Catherine – dai 70 ai 128 anni di età, non so se ci siamo intesi – sono un pezzo di storia della Borgogna e i loro vini prodotti con metodi biodinamici e in totale assenza di solforosa in ogni fase della produzione sono testimonianza palpabile e bevibile di come può essere un vino naturale e soprattutto di quanto a lungo può durare, guadagnando di anno in anno in profumi, sfumature idrocarburiche ed elegantissima complessità. Unico e impeccabile in ogni annata, lo Chardonnay di Vergè riassume un senso assoluto di vino e vinificazione naturale, mettendo tutti d’accordo per una volta.

Perché il mondo del vino naturale è così, trova il suo bello e il suo brutto nelle mille opinioni libere delle persone che lo popolano. Un mondo fondato sul rispetto per la terra e dei suoi ritmi, animato da grandi amicizie così come da screzi, contraddizioni, polemiche e condito da una decisa vena dissacratoria. Un mondo dove l’unica bussola è e dev’essere il proprio gusto personale e la propria sensibilità. Come non esistono ricette per farlo, non esistono ricette per berlo il vino naturale. Non è solo questione di palato ed olfatto, ma di istinto e apertura mentale, poi il caso farà il resto, scompiglierà le carte ed uscire dal labirinto risulterà impossibile.