Bottiglie Aperte 2018
Una domenica di vino a Milano
Si è appena conclusa la settima edizione di Bottiglie Aperte, quest’anno nella nuova location del Superstudio Più di via Tortona. Forse meno affascinante e bucolico del bellissimo chiostro del Palazzo delle Stelline in cui la manifestazione di Federico Gordini si è svolta l’anno scorso, lo spazio Superstudio Più convince per la sua luminosità e per gli arredi sobri ma d’effetto, a partire dal bellissimo soffitto modulare in legno chiaro.
Scorrendo la lunga lista di oltre 200 espositori mi ha colpito l’accostamento a grandi nomi del mercato enologico italiano di più piccoli produttori di vino biodinamico e naturale. Per molti vinnaturisti convinti potrà sembrare un mash-up azzardato, forse addirittura blasfemo. Per me è stato un modo per confrontare assaggio dopo assaggio, filosofie e tecniche differenti e apprezzarne il risultato nell’unica cosa che conta, il vino.
Lo spazio espositivo è stato organizzato per regioni da Nord a Sud, ho quindi cominciato il tour dai miei conterranei piemontesi.
Ho conosciuto così le tante interpretazioni di Dolcetto della cantina Castello di Tagliolo: sulle dolci colline di Ovada Luca lavora sapientemente la sua uva restituendo un calice dal terroir intenso e con ottime potenzialità di invecchiamento. Altrettando interessanti sono stati gli assaggi di Erbaluce, sia fermo che charmat, e di Nebbiolo della Cantina Rolej, una piccola realtà da una delle DOC più dimenticate d’Italia, la DOC Canavese, ora in cerca di un suo spazio, meritatissimo, tra le altre altisonanti denominazioni piemontesi. Poi, mi sono lasciata stupire dall’eleganza del blend di Pinot Nero e Barbera, Hostaria, a cura dell’enologo Lanati per Bonzano Vini, nel cuore del Monferrato. Un vino onesto e gentile, come il miglior amico di osteria. A tenera alta la bandiera langarola invece è stata la cantina familiare Mario Rivetti, ad Alba, con il suo nebbiolo tradizionale e il suo chardonnay alla francese.
Sempre nel solco della tradizione, sono stata attirata da un nome a me nuovo nel panorama bolgherese. Ho conosciuto così Silvia e Manuela di Podere Conca che, coltivando quasi per gioco la loro vigna di famiglia, hanno intrapreso un cammino innovativo con il loro Agapanto, un Bolgheri giovane e scattante che unisce il rustico Ciliegiolo ai classici Cabernet Franc e Sauvignon. La loro non è l’unica realtà tutta al femminile a Bottiglie Aperte, che anzi dedica un’intera sezione del secondo padiglione all’associazione delle Donne del Vino, che da anni sostiene le quote rosa in viticultura. Caposquadra rosso fuoco del movimento femminile è Stefania Pepe con i suoi vini, Trebbiano e Montepulciano, che vanno oltre ogni schema fino a toccare il cuore, che è anche il simbolo della cantina. I suoi sono vini naturali oltre il naturale, a volte schiacciati con i piedi, solo puro succo d’uva.
Ad ogni vendemmia viene lasciata la massima libertà di espressione, non ne troverete due uguali, e per questo i vini sono capaci di essere ancora vivi, freschi e grintosi anche dopo 10 o 12 anni.
Proseguendo, avete mai sentito parlare di Bianchello del Metauro? Insieme a Luca di Terracruda, ho potuto ri-assaggiare questa varietà sia nella lavorazione ferma tradizionale, sia in quella ancestrale rifermentata in bottiglia. Questo è il Ciao, un vino dal packaging essenziale, ma che racconta il nuovo percorso verso il biologico di questa cantina. Grazie a Luca inoltre ho conosciuto la Garofanata, un’uva bianca quasi scomparsa e nota per la sua nota di garofano al naso.
Il Lazio è stato senza dubbio la regione meno rappresentata numericamente, ma non per questo da tralasciare. Anzi vi consiglio un sorso delle diverse declinazioni di Frascati della fattoria equosolidale Capodarco, anche leggermente macerate. Grande freschezza e territorio.
Scendendo al confine tra Puglia, Basilicata e Campania invece mi hanno divertito le mini-verticali di Fiano e Falanghina della cantina Kandea, calici dorati per vini carichi di storia e gusto.
Infine, se pensate che per fare il vino servano i lieviti dell’uva, il progetto Vola Volè di Lunaria potrebbe spiazzare ogni vostra certezza dato che utilizzano un ceppo di lievito delle api isolato in laboratorio dall’università delle Marche: biodinamica 2.0
Nel secondo padiglione ampi stand sono stati dedicati alle distribuzioni tra cui ho potuto assaggiare il Gavi biodinamico di Raja presentato dai ragazzi di Wine Tip: un vino intenso, corposo ma elegante, capace di rappresentare le grandi potenzialità del cortese.
Per arrivare quindi allo spazio tutto dedicato al vino naturale a cura di Davide di Radici Natural Wines, che oltre ai capisaldi della sua lista come Castello di Stefanago e Etnella, ha presentato al mercato le sue due novità.
Prima, Maeli, sui colli euganei, che lavora con passione le mille sfumature del Moscato Giallo versando sempre vini dal naso caldo e fruttato ma dal gusto secco e dalla mineralità vulcanica. Da non perdere anche i loro rossi di grande impronta ed eleganza.
Seconda, Cantina Marilina, nell’estrema punta sud della Sicilia, in provincia di Noto che presenta, tra gli altri, la sua linea di Grecanico e di Nero d’Avola. Vini sorprendenti, completamente artigianali e curati nel minimo dettaglio con confezioni rifinite a mano.
E dopo tutti questi calici, sempre allo stand di Radici, la vulcanica Elenora di Fattoria Castellina decide di far impazzire il pubblico con un improvvisato gioco delle tre carte usando tre diverse annate del suo biodinamico Merlot Daino Bianco: 2011, 2009, 2007. Non chiedetemi se ho indovinato, non voglio sfigurare, vi dirò solo che erano tre bottiglie spaziali che avrei voluto portare a casa con me.
Un sentito grazie agli organizzatori per questo evento e lunga vita alla prima Milano Wine Week!