Vini Veri 2018

Vini Veri 2018

Aprile 17, 2018 0 Di lasecondadolescenza

I miei Vini Veri 2018

Vini Veri è stata la prima manifestazione di vino a cui abbia mai partecipato. Come sempre era aprile, faceva caldo, molto più caldo di oggi, e ricordo l’impatto visivo all’ingresso: tantissime etichette, come farò a scegliere? Poi ricordo la mia titubanza, la mia goffaggine ai banchi d’assaggio, le tante figuracce con i produttori spiazzati dalle mie domande definibili “naive” per usare un termine che addolcisca la grande confusione che regnava, allora, nella mia testa. Eppure, per me, fu un successo, fu l’innamoramento, l’amore e tutto il resto. Fu l’inizio. E da quell’aprile, ogni anno, aspetto di tornarvi con la stessa trepidazione ed emozione dei bimbi che aspettano l’arrivo di Babbo Natale. Però Vini Veri esiste. Però tante persone che credono in un vino secondo natura esistono. E al giorno d’oggi sembra quasi più irreverente di credere a Babbo Natale.

Anche quest’anno la location è l’area expo di Cerea, nel Basso Veronese. Una ex fabbrica di concimi chimici, spaziosa e luminosa, che per tre giorni ospita oltre 150 produttori che hanno fatto della lotta all’ intervento chimico in campagna la loro bandiera, del rispetto per la natura il loro marchio… il destino a volte, vero?!

Cuore pulsante della manifestazione, i produttori che 15 anni fa si unirono, sotto la guida del mastro vignaiolo Paolo Bea in Montefalco, nel Consorzio Vini Veri, prefiggendosi come unico scopo il proteggere la produzione di un vino in assenza di accelerazioni e stabilizzazioni. Un vino secondo natura, un vino che sia simbolo del recupero di un miglior equilibrio tra l’azione dell’uomo e i cicli della natura. Un vino vivo. Negli anni, tantissimi sono entrati a far parte della loro squadra, accogliendo in vigna, in cantina – ma in primis nella vita – i semplici punti cardine della loro regola: aggregare, stimolare, ricercare, comunicare.

I miei assaggi, quest’anno, partono dal padrone di casa, Giampiero Bea, e dal suo Arboreus, il principe dei macerati, trebbiano spoletino in purezza da vigne centenarie a piede franco. Alla corte di Bea molte altre sono le etichette blasonate, a partire dal Rosso de Veo, Montefalco Rosso, e al Pipparello Riserva, morbido e coinvolgente, fino a sua maestà il Sagrantino Pagliaro 2018 macerato, quindi affinato un anno in acciaio e oltre due anni in botte.

La mano di Bea ritorna inconfondibili anche in uno dei vini più particolari che si possano degustare a Vini Veri, quello delle suore trappiste di Vitorchiano nel vigneto custodito all’interno del monastero. Un instancabile ora et labora che dà vitaall’etichetta Coenobium, blend di malvasia, trebbiano e verdicchio, lavorato anche in macerazione nella versione Ruscum. Freschezza e benedizioni da vendere.

Sono poi rimasta conquistata da Poiema di Eugenio Rosi, il perfetto esempio di quando un vino diventa velluto, forse grazie alla sapiente aggiunta di una parte di uve passite durante la fermentazione. Incantevole il suo blend bianco con Nosiola, Anisos, ma la vera sorpresa è stato l’assaggio del rosso Perciso che vi racconterò presto. Passando tra i simpatici e chiacchieroni toscani, oltre alla conferma del gran carattere del verdicchio e del sangiovese maceratissimi di Massa Vecchia, ho assaggiato alcune novità. Le due garbate annate di sangiovese in Chianti di Sorelle Palazzi, e, facendo un tuffo nel Tirreno e sbarcando sull’isola del Giglio, il Rossetto e l’Ansonaco (varietà autoctona dell’isola) dei gentilissimi coniugi dell’azienda Altura. Ancora, dopo l’incontro a Live Wine, ritrovo Michele di Vanempo con il suo vino bianco vestito di rosso, un macerato di trebbiano, malvasia e san colombano, in due annate diversissime tra loro a testimonianza del minimo intervento della mano del vignaiolo sul risultato finale, che è infatti, solo natura.

Attratta dal color oro del loro vino, non posso non avvicinarmi allo stand di Volcanalia in Gambellara: garganega 100% ferma e rifermentata, acidità ben bilanciata a un grande impatto minerale che invoglia il brindisi e la bevuta con amici.

E’ poi la volta di una recente passione, il vitigno a bacca rossa Cesanese, a me poco conosciuto e che per questo assaggio ogni volta che posso per imparare a coglierne le diverse sfaccettature. Sabato ho potuto godere della versione elegante e persistente in solo acciaio di Azienda Agricola Milana, una piccola realtà nel comune di Olevano Romano che ha riunito dal 2009 sotto un’unica mano piccole parcelle di vigna altrimenti destinate all’abbandono.

Nelle Marche ho scoperto l’attenzione dell’azienda Clara Marcelli per la valorizzazione del proprio territorio attraverso l’assaggio del loro pecorino di Offida, floreale e fresco al naso, poi asciutto e sapido. Inaspettato invece il loro Ruggine, grenache (o bordò come viene chiamata nelle Marche), lavorata in purezza e affinata in barrique, da un vecchio vitigno che oggi produce solo 500 bottiglie l’anno: un tesoro da nascondere.

Anche Vincenzo di Vite ad Ovest ha in serbo una bella sorpresa: il campione di vasca della nuova etichetta Rina, blend di grillo e catarrato macerato per 3 mesi, ancora fresco ma pieno di risvolti complessi e affascinanti al naso e in bocca.

Presenti numerosi anche quest’anno i produttori dell’Emilia Romagna con alcune interessanti scoperte. I giovani biodinamici della cantina Bergianti vicino Modena, con il loro metodo classico rosè di Lambrusco di Sorbara capace di competere con i pinot meunier d’oltralpe e il loro pignoletto “importato” dai colli bolognesi. Il bolognese Gradizzolo e la sua cura per un raro vitigno bianco autoctono emiliano, l’alionza, e un interessante grechetto gentile in anfora. I simpaticissimi vignaioli di TerraQuila che forti della volontà di “fare vino come lo faceva mio nonno” si presentano con vini ancestrali d’altura, sboccati e non, dal forte impatto e dalla lunga persistenza, bellissimo infine l’innesto nella loro tenuta di una vite abbandonata, autoctona delle loro zone, il verdicchio di Guglia.

Ancora, mi sono fatta una cultura imparando dalle parole del figlio Guido le basi del metodo agronomico inventato dal padre, Lorenzo Corino, e perfettamente racchiuso nella loro buonissima barbera in legno, Barla. Metodo poi applicato con successo da Antonella di Fattoria la Maliosa in maremma toscana con un ciliegiolo fantastico! Tra gli assaggi, tanti, dei banchi piemontesi voglio ricordare il dolcetto di Cascina delle Rose, una delle migliori realtà naturali in Langa, e il Grignolino dell’azienda Trinchero, uno dei piccoli autoctoni piemontesi dimenticato dalla nebbiolizzazione di massa, valorizzato da un uso interessante del cemento e del lungo affinamento in bottiglia.

Bellissima infine la presenza di due realtà vitivinicole portoghesi, la giovane cantina Humus in Estremadura con il suo rosè, e la Quinta de Serradinha nel Douro con memorabili autoctoni come Arninto e Baga.

E infine, quando la luce del sole si fa più bassa e calda, sai che Vini Veri anche per quest’anno è finito, e non resta che salutarsi un bicchiere di Vitovska e una fetta di prosciutto carsico dal coltello di Matej dell’azienda SkerlJ, che oltre a produrre vino alleva maiali allo stato brado.

Ed è proprio vero che se si chiude una porta, a Cerea si apre ogni giorno un grande portone verso un’agricoltura più equa, un mondo con meno chimica e più filosofia, dove il cuore e la passione vincono sugli algoritmi e le formule. Un mondo dove il vino vive.

P.S. Un ringraziamento va a anche a chi ha accompagnato tutti i miei assaggi con i suoi buonissimi taralli… a presto Zio Pasquale!