Il Plebiscito dei vini – sogno o son desto?

Il Plebiscito dei vini – sogno o son desto?

Giugno 1, 2022 0 Di lasecondadolescenza

A Ovada, la festa che nessuno poteva aspettarsi

È successo qualcosa. Io non ho potuto esserci perché impegnata altrove, ma volevo fortemente che su questo mio diario rimanesse traccia del fatto che è successo qualcosa. Ed è successo qualcosa a Ovada. Ma partiamo dall’inzio: dov’è Ovada? A Sud del Nord, ovvero nella provincia più meridionale del Piemonte, quella di Alessandria. Una provincia ibrida che, schiacciata dalla notorietà della Langhe,
sbircia timidamente alla Liguria da dietro il primo tratto d’Appennino.

L’esterno de Il Baffo si impregna

A Ovada, piccolo centro di 10.000 anime, dal 2017 c’è un bar, Il Baffo s’impregna, dove da un anno a questa parte Silvia Alemanni e Simone Barisone hanno scelto di proporre solo vini agricoli, vini veri, vini che piacciono a noi. E qui scatta il cortocircuito, questa proposta stenta ad essere apprezzata, nonostante la zona dell’ovadese sia in realtà una delle culle di quella “resistenza naturale” che ha permesso al vino naturale di tornare alla ribalta nei primi anni 2000.

Simone Barisione

Bene, Silvia e Simone potevano scoraggiarsi, lasciarsi influenzare dallo scetticismo generale, invece sono Silvia e Simone e hanno deciso di crederci, di comunicare, di coinvolgere. Hanno deciso di fare una festa. Con questo intento – suicida ed idealista – è nato il Plebiscito dei Vini. La festa che nessuno poteva aspettarsi. E che invece è successa.

Nei giorni a seguire, ho chiesto a Silvia di condividere con me qualche impressione. Ne è uscito un
racconto pieno di entusiasmo, carico di parole belle, emotive e sincere. Mi hanno emozionato e ho pensato di restituirle qui intatte, nella loro spontaneità perché possano spingere sempre più ragazzi a credere nei sogni e nel loro territorio. Perché – perdonatemi la metafora bellica – non c’è battaglia più persa di quella che non si è combattuta.

Silvia Alemanni

Cos’è per te l’ovadese?

“Il nostro territorio, quello dell’ovadese è – forse – tra i più remoti del Nord Italia, dove da sempre si produce vino secondo i canoni del convenzionale, ormai da generazioni. Un territorio autarchico, che vive principalmente dell’operosità dei locals, anche se abbiamo la DOCG del Dolcetto di Ovada in cui dovremmo credere di più̀, riscattare nel percepito generale, smuovendo così una volta per tutte la grande macchina del turismo come avviene in altre provincie piemontesi. Provocatoriamente però mi chiedo: saremmo poi pronti a parlare lingue straniere, ad accogliere, a metterci in gioco?

Finchè non ci si prova non si può saperlo e voi del Baffo ci state decisamente provando, anche sul tema del vino naturale. Come sta andando?

La prima reazione è sempre “Beh cosa significa naturale? Tutto il vino è naturale, proviene dalla natura e
dalla vigna. E poi io lo faccio come faceva mio nonno.” Un pensiero da sdoganare non solo tra i produttori del territorio, ma anche nell’immaginario radicato dell’utente medio. È stato necessario per noi specificare su più fronti il significato profondo di “naturale” che, se non riempito di indicazioni specifiche, sembrava agli occhi della provincia, solo la solita esigenza radical chic del momento.


Chiaro. E pensare che avete la fortuna di essere immersi nel vino naturale. L’ovadese, infatti, forse proprio grazie alla sua natura periferica e dimenticata ha dato ampio spazio negli ultimi vent’anni ad agricoltori resistenti, contrari, ribelli. Penso tra tutti a Stefano Belotti di Cascina degli Ulivi, uno dei primi a credere nella biodinamica in Italia, ad insegnarla a molti altri viticoltori e appassionati. Oggi i nomi da citare sono tantissimi!

 Assolutamente, è una situazione paradossale. Proprio quella provincia che storce il naso ha nelle sue campagne produttori come Rocco di Carpeneto, La Signorina, Forti del Vento, Cascina Boccaccio e tanti altri. Nomi bevuti e cercati nelle grandi città, per non parlare del loro successo all’estero. E qui a pochi chilometri? Disastro.

A cosa è dovuto secondo te questo cortocircuito?

Difficile semplificare, ma quello che ho capito stando al banco del Baffo è che al momento o sei all’interno del meccanismo e apprezzi, o sei fuori. Rassegnarsi allo stato delle cose? Non fa per noi, ed ecco quindi profilarsi una nuova sfida: senza forzature, accompagnare chi si dimostri interessato a varcare la soglia del nostro “lato oscuro”. Oscuro ora, ma in realtà un lato luminosissimo, sostenibile, genuino, consapevole e rispettoso della natura. Come fare? Conferenze? No. Incontri? No. Degustazioni dedicate? Ni. Aspetta: fare festa! Ci viene benino, pare, la gente lo sa. Ne abbiamo già organizzate alcune e ci siamo divertiti in quello che è il nostro palcoscenico preferito: la piazza.

Fare festa ci sta, ma è sempre un’arma a doppio taglio. Non si corre il rischio di diluire il messaggio profondo che volete portare in fiumi di vino bevuti con poca consapevolezza?

Esatto! Questo era proprio il rischio che volevamo evitare: mai pensare di fare una roba in sordina in cui non si sa bene cosa si sta bevendo. Bisognava far capire in maniera chiara che il fulcro dell’evento sarebbero stati i vini naturali e spiegare “perché” fosse importante partecipare. Quindi per cominciare, il nome: Il plebiscito dei vini, sottotitolo racconti di naturali in piazza. Chiaro e lineare, se non hai capito sei lucco. Poi, un lento e costante lavoro per preparare il terreno, per iniziare a smussare gli spigoli come diciamo noi, che si è tradotto in un ciclo di incontri sul tema a partire dal mese di marzo dal titolo “Aspettando il plebiscito” durante il mercato in piazza Peppino Impastato.

Davvero un impegno notevole, soprattutto se relativizzato alla vostra piccola e giovane realtà. Avete avuto paura di non farcela?

Heheheh, si. Soprattutto temevamo una scarsa affluenza. Perché tolta la bassissima fetta dei curiosi, di quelli che cercano l’out of comfort zone, dei salutisti, dei sensibili alla questione climatica, insomma, rischiavamo davvero di non arrivare neanche lontanamente al pubblico necessario per rientrare degli sforzi, sebbene questa utenza sia quella che ringraziamo immensamente ogni giorno, per apprezzare il nostro lavoro di ricerca. Però ci abbiamo comunque creduto, lavorando a basso profilo e cercando di coinvolgere tutti, ma proprio tutti. Dopotutto doveva essere un Plebiscito no? Il risultato ci ha sorpreso e dato il coraggio che ci serviva. Durante i racconti del vino al Mercato del sabato mattina la gente ha iniziato a fermarsi, a domandare – inaspettatamente, numerosa. Questi incontri “preparatori” sono presto diventati un un appuntamento, in cui divertirsi, passare del buon tempo, bere e mangiare bene, imparare. Insomma, le cose si stavano mettendo bene!!

E arriviamo a domenica 15 maggio, Piazza San Domenico, Ovada, il Plebiscito dei Vini comincia. Com’è andata?

La verità? È andata alla grande, ma così alla grande che non ce lo potevamo aspettare. In pochi istanti tutti noi del Baffo abbiamo visto dissolversi le ansie, le paure, le corse, le notti insonni passate a far sì che tutto funzionasse. 400 prevendite vendute, 600 ingressi. È stata la festa, e non la fiera, in cui tanto speravamo. È stata la prima vera avanscoperta del vino naturale ovadese (e non solo), dedicata a tutti e non solo al settore e agli appassionati.  Sebbene sia molto autocritica, penso che sia stato bello un po’ per tutti. Per i vignaioli, radunati sotto questo unico tendone con una lunga tavolata che percorreva tutto il perimetro e che ha consentito loro di festeggiare davvero tutti vicini, di assaggiare tanto stando nei pressi della postazione, di festeggiare un momento spensierato. Per la gente, quasi una folla! Un pubblico consapevole e genuino, intellettualmente onesto.  Mi dicevano: “Alcune cose mi sono piaciute, mi hanno stupito. Altre cose non mi sono piaciute”. Perfetto, giusto, quello che cercavamo. Divulgazione, consapevolezza, genesi di un’idea, nessuna paura nel palesarla. Basta falsi buonismi, si confronto critico. Colpito e affondato.

Un successo meritato, peccato non essere stata lì con voi a brindare, ma voglio sperare che ci saranno altre occasioni. Ora che il pubblico si va definendo, non si può mollare!

È stata una gran fatica, in termini soprattutto di progettazione, ma anche fisica e psicologica. La nostra squadra è piccola, siamo ben temprati, ma quando organizziamo questi eventi le cose da fare sembrano non finire mai. Curare, definire, studiare, ponderare, accompagnare verso: la vera fatica. Ma essere arrivati all’obiettivo, con fatti e non parole, ha ripagato tutto. A ripensarci ora lo definirei un vero salto nel buio, quello che nessuno si sentiva di fare perché “Tanto a Ovada nessuno beve naturali”, ma che ci ha fatto scoprire un grande potenziale.

C’è tanto terreno fertile da coltivare e stiamo già pensando al Plebiscito 2023, stessa sostanza ma probabilmente nuove sembianze, spazi, momenti e sempre più target variegati e inclusivi. Insomma, tutto in divenire e trasformazione tranne il nome che è e sarà Plebiscito. Mi viene ancora da sorridere a
pensarci: alla prima riunione con i vignaioli, che ancora conoscevo poco, mi armo di coraggio e a una certa dico che avevo trovato il nome, pronti? il plebiscito. Flop totale. Si decide per “Naturalmente Mezzopieno, La festa”. La riunione è tolta. Poi un vignaiolo in separata sede mi dice: “E’ la tua festa, devi chiamarla come ti va. E come ti senti”. Da lì ho capito, fiducia in se stessi sempre, prima di tutto. Così pur essendo molto democratica, ho optato per una piccola tirannia imponendo il nome Plebiscito. A sorpresa il gruppo del Baffo e i vignaioli ovadesi  mi hanno subito sostenuto, come all’interno di una vera famiglia. E così un Plebiscito c’è stato. A Ovada.