Agricola Caracristi
Nato Contadino Lento
“Per me la parte filosofica di ciò che faccio è fondamentale,
va a dare pienezza al mio lavoro ed un senso al mio operare.”
Come spesso è mi sta accadendo da due anni a questa parte non ho conosciuto Daniele di persona, a un fiera o in cantina da lui, ma ci siamo parlati per la prima volta attraverso lo schermo di un cellulare e abbiamo imparato a familiarizzare l’uno con il lavoro dell’altro attraverso siti internet, messaggi, vocali e qualche telefonata.
A febbraio 2020, non potendo andare fino in Trentino, dove si trova Agricola Caracristi, Daniele mi ha spedito a Milano la prima annata di Mezzosangue, il suo Pinot Grigio in purezza, vinificato in bianco con la promessa di inviarmi al più presto la versione macerata. Ci siamo così risentiti in autunno con l’uscita di Cavallopazzo dove la fantasia e l’estro di Daniele si sono realizzati in un vino piuttosto fuori dagli schemi, soprattutto se contestualizzato in un territorio come il Trentino (in zona mi viene in mente solo il Fuoripista di Elisabetta Foradori, penso uno dei primi macerati che ho apprezzato).
Quando in autunno li ho bevuti nella stessa serata, Mezzosangue e Cavallopazzo mi sono sembrati come due facce della stessa medaglia. Uno il lato illuminato, l’altro quello in ombra a seconda del punto di vista da cui li si guardi sia quello del vinnaturista (che considera luce Cavallopazzo) esperto o del consumatore più tradizionale (che storce magari il naso alla macerazione ma si riconosce di più in Mezzosangue). Due vini nati da due approcci diversi ma complementari, accumunati da una filosofia di lavoro fondata sul massimo rispetto per la terra e l’uva.
Un racconto dunque coerente, ma che eppure ancora sentivo di non conoscere del tutto. Chi era in fondo davvero Daniele, perchè faceva vino, perchè il Pinot Grigio. Allora gliel’ho chiesto e la storia che mi si è delineata ha la bellezza dei gesti semplici, dei destini compiuti, degli affetti forti.
Ciao Daniele, parlaci un po’ di te: di dove sei? quanti anni hai?
Sono nato e vivo a Gardolo, un paese a nord di Trento, che ormai è quasi un corpo unico con la città. Classe ’95, 26 anni ad oggi.
Sei davvero molto giovane, Agricola Caracristi nasce con te o ha una storia familiare alle spalle?
Hahahaha, dai relativamente giovane! La mia azienda invece, lei si che è giovane soprattutto nel settore vino, perchè in realtà esiste già da parecchi anni. E’ nata a Gardolo qualche generazione fa e fino al 2016 il titolare è stato mio zio. La si gestiva a livello familiare, mio zio insieme a mio padre, come secondo lavoro. Ogni tanto aiutavo anche io che però ero impegnato a studiare all’istituto agrario di San Michele all’Adige. Poi in maniera improvvisa, durante gli studi è mancato mio padre, da quel momento ho capito che dovevo cominciare a fare sul serio in azienda. Mai però mi sarei aspettato che a lasciarmi sarebbe stato di lì a poco anche mio zio. Da quel momento il destino, sebbene in maniera improvvisa e beffarda, aveva messo tutto nelle mie mani. Ho abbandonato il lavoro stagionale presso la cantina della fondazione Mach, rifiutato un po’ di altre proposte, e preso in mano le redini dell’azienda
Un’azienda agricola piccola ma a 360 gradi…
Si perchè oltre al vino a cui mi sono dedicato con impegno data anche la mia formazione da enotecnico, in azienda sono coltivati anche dei meli ed un piccolo orto “sperimentale”. Dalle mele nasce il mio succo di mela, un prodotto storico dell’azienda, che si distingue per essere all 100% mele, senza nessuna aggiunta, mentre nell’orto vengono coltivati una ventina di ortaggi diversi che variano con il cambiare delle stagioni.
Vino dicevamo. Hai cominciato misurandoti con un grande internazionale, un mostro sacro per tanti viticoltori, un’uva complessa né bianca né rossa. Qual è l’opinione che te ne sei fatto?
Sì, in vigna ho solo Pinot Grigio. Un vitigno difficile, hai ragione, che io stesso ho imparato ad apprezzare con il tempo. All’inizio – quando ancora studiavo – stavo in fissa con gli autoctoni, e in tutta sincerità, non andavo molto fiero di quello che coltivavo. Il problema è che in Trentino si sono perse praticamente tutte le antiche varietà coltivate e ad oggi la stragrande superficie del territorio regionale è vitata con varietà internazionali, tra cui il Pinot Grigio appunto.
Pinot Grigio, un internazionale naturalizzato trentino, che ne dici?
Assolutamente. Il Pinot Grigio è presente sul territorio da così tanti anni che i miei vecchi lo vinificavano in rosso chiamandolo “Rulander” alla tedesca. Il problema è arrivato dopo, quando ha iniziato a diventare un vino molto tecnico, ipercorretto, inflazionato dalla moda, prodotto in grandi quantità e dedicato all’esportazione.
Quindi mi sono avvicinato a questo vigneto con scetticismo, ma non appena ho iniziato a microvinificare le mie uve, a capire meglio il vitigno, che credo possa essere un ottimo interprete del mio territorio: un vitigno a cui restituire il rispetto che si merita.Va aggiunto che 22 anni fa, quando è stato impiantato il primo vigneto aziendale, la produzione di questo era già destinata ad un progetto diverso da quello in voga, ma mirato alla qualità perchè destinato a un consumo familiare. A pensarci oggi infatti, con grande lungimiranza mio padre e mio zio avevano scelto la spalliera come forma d’allevamento e le piante utilizzate venivano da una specie di “selezione massale” venduta da un vivaista della zona. Ambivano a produrre non tanta uva, ma uva sana. Grappoli piccoli, non troppo compatti, con una buccia relativamente più resistente.
Bio da subito, ma con qualche incursione nella biodinamica. Oggi se ne parla molto, anche su giornali e notiziari, perché hai deciso di applicarla nella tua azienda? Cosa significa per te biodinamica?
Bio da subito, non avevo dubbi: mi è bastata un’occhiata a qualche etichetta di fitofarmaci per agricoltura “integrata” a consolidare la decisione. La biodinamica invece l’ho conosciuta ancora mentre studiavo, leggendo Rudolf Steiner e Nicholas Joly. Se infatti da un lato sono diplomato enotecnico, dal punto di vista della “filosofia del vino e dell’agricoltura” sono un fiero autodidatta. Mi interessa la visione antroposofica del mondo, e ho deciso di iniziare ad applicare la biodinamica nella mia azienda, per applicare tale visione al mio lavoro.
E’ stato un percorso altalenante, ma che negli ultimi anni ho ripreso in modo deciso. Per me la parte “filosofica” di ciò che faccio è fondamentale, va a dare pienezza al mio lavoro ed un senso al mio operare. Credo poi che, indipendentemente dall’utilizzo dei preparati, la biodinamica possa portare un vero equilibrio ad un’azienda. O meglio, credo possa essere un percorso di crescita e ricerca per l’agricoltore, con effetto diretto una grande serenità; cosa che poi si riflette sull’azienda.
E in cantina come affronti la vinificazione?
Ahaha, mi fa ridere pensare alla vinificazione. A scuola mi veniva ricordato che un grande vino nasce da grandi uve, ma poi si parlava sempre di vinificazioni. Io cerco di affrontare la vinificazione come una naturale prosecuzione della vita della mia uva. Non aggiungo lieviti o altri additivi, ad eccezione di pochissima solforosa, lasciando partire la fermentazione alcolica autonomamente. Non filtro i miei vini, che si illimpidiscono naturalmente per decantazione. Lascio il vino sulle fecce grosse, e successivamente fini, il più possibile: mi aiuta a gestirne la maturazione e le ossidazioni.
Sento sempre la vocina dell’enotecnico che è in me per formazione, pertanto sono abbastanza maniacale sulla pulizia della cantina (chiaramente non vuol dire sterilizzazione), tengo controllati i vini con le analisi ed un qualche pensiero per i miei prodotti lo ho sempre, ma sto molto migliorando, e lentamente sento veramente di essere sempre più sereno nei loro riguardi, li osservo mentre crescono!
Arriviamo così ai tuoi due vini: Mezzosangue e Cavallopazzo. Uno più tradizionale l’altro fuori dagli schemi.
Mezzosangue per me è un vino bianco, ma con una struttura un po’ diversa dal tipico bianco trentino, non il classico bianchetto (confermo, n.d.r). La macerazione di Cavallopazzo nasce dall’esigenza di vedere l’altra faccia di questo vitigno, di questo mezzosangue. In particolare il lato della vinificazione in rosso è un modo di lavorare che ti porta ad un contatto vero con l’uva che diventa vino: è un modo di lavorare diverso che affronto con molta serenità e che sento mio.
Da dove nascono questi nomi? E le loro etichette?
Il nome Mezzosangue s’ispira ad una delle particolarità del Pinot Grigio. E’ un vitigno a bacca
grigio/rossa, ma spesso si possono trovare intere piante con i grappoli bianchi anziché rossi, se non qualche grappolo casuale su un’intera pianta con grappoli rossi, o ancora meglio grappoli rossi con qualche acino bianco, o mezzo bianco e mezzo rosso: un mezzosangue! (Senza saperlo la mia visione dei vini di Daniele come di due facce della stessa medaglia, aveva colto nel segno della morfologia stessa del vitigno! n.d.r.)
Cavallopazzo invece è dedicato a mio padre, irriverente, ma composto.. una vinificazione fuori dal comune, pazza per un trentino!
Le etichette sono disegnate dalla cara amica e grafica Silvia Benedetti: il mio vino porta, oltre a quella del terroir, la mia
impronta e non vuole essere condizionato, quindi ho chiesto a Silvia di mettere il “contadino nella bottiglia”. Ha dovuto schiacciarlo nell’etichetta – infatti la occupa tutta da inginocchiato – ma alla fine ci è stato!
Ti diverti a immaginare qualche abbinamento per i tuoi vini?
I miei vini vogliono essere dei vini “da bere”. Ben fatti, ma che non necessitino per forza di essere degustati. Dei vini che bevi con piacere, che possano accompagnare una chiacchierata bicchiere dopo bicchiere. Pertanto mi piacerebbe che fossero abbinati a dei buoni amici, alla voglia di condividere ed alla serenità.
Potatura, raccolta, fermentazione, travasi. Tante incognite e rischi, ma anche tanto divertimento immagino. Qual è il momento che preferisci nelle tante fasi che portano alla nascita del tuo vino?
Ogni operazione devo dire che ha il suo fascino. La potatura mi fa vivere fuori dal tempo, entrare nella storia della vigna, vedendone passato presente e futuro. La legatura dei capi a frutto mi fa respirare l’aria della primavera, godere dei primi caldi e dell’ordine che precede l’inizio di una nuova stagione. L’arrotolamento dei tralci mi fa faticare molto, ma è la perfetta metafora dell’accompagnamento della vite nella sua crescita, della relazione sana tra uomo e natura.
Ti definisci nato vignaiolo?
In mezzo alle vigne ci sono sempre stato, è come se fossero il giardino di casa mia. Non so se mi definirei nato vignaiolo, ma porto dentro di me una grande necessità di ruralità. Apprezzo la vera vita contadina, i ritmi della natura, la fatica ed il riposo, il calore del fuoco. Ecco, mi definirei più nato contadino.
E com’è la giornata di chi è nato contadino?
Generalmente lavoro da solo, ma la mia attività si può definire familiare. Mia mamma, parenti, morosa e cugini mi aiutano quando necessario. La mia giornata tipo evolve con le stagioni. In Inverno me la prendo con comodo, cerco di uscire per potare nelle giornate giuste e nelle ore più calde, leggo molto ed investo nella ideazione e programmazione. In estate la sveglia suona spesso molto presto, cerco di lavorare nelle ore più fresche, mi piace stare in campagna anche con la luce ed il teporino del tramonto. In tutte le stagioni non manca mai una super colazione! Cerco sempre di prendermi il tempo per leggere e lo sport in mezzo alla natura. Ah, anche il tempo di condividere un calice con un amico non manca mai..!
Se dovessi descriverti con un aggettivo?
Lento. Ma nel bene e nel male, ho bisogno di vedere le situazioni da più punti di vista, godermi il momento, fermarmi.
Chi sono i tuoi maestri o a chi ti ispiri?
Cerco di incontrare i vignaioli che apprezzo, quindi di maestri ne ho avuti molti. L’illuminazione dei vini “naturali” l’ho avuta visitando, ancora ai tempi della scuola, l’azienda Zidarich (a Prepotto in Provincia di Trieste, n.d.r), ma la mia visione del mondo del vino è molto contaminata. Non confronto spesso i miei prodotti con quelli di altri, cerco più che altro di confrontare le mie idee.
Ad oggi produci due etichette, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Già una terza etichetta è in gestazione, per il futuro si vedrà. Sicuramente ambisco a consolidare i miei prodotti già esistenti ed ad aumentarne il numero di bottiglie (cosa possibile perché gran parte della produzione di uva dell’azienda viene venduta a terzi). Ho poi nascosto tra le idee un qualche tipo di vino da lungo invecchiamento e mi piacerebbe poter commercializzare a livello locale un vino sfuso o un qualche grande formato di vino sano, ma questo prevede una serie di ragionamenti che sono ancora in corso. Ambisco a consolidare la natura poliedrica della mia azienda, vorrei riuscire ad integrare degli animali in modo efficace e produrre sempre più alimenti per utilizzo locale.
Dopo aver conosciuto meglio la sua storia e dopo essermi emozionata per la tenacia e l’ottimismo di questo ragazzo non ho dubbi sul futuro di questo ragazzo nato contadino lento, e della sua azienda nata orto per gioco e ora diventata qualcosa di più. Che poi guardando le cose come ci suggerisce Daniele, in maniera antroposofica uomo, vigna, natura, azienda sono per definizione parti di un tutto, in armonia e cooperazione. Sono una casa con la vita dentro.