Podere Veneri Vecchio

Podere Veneri Vecchio

Gennaio 15, 2019 1 Di lasecondadolescenza

Podere Veneri Vecchio

Siamo padroni di tutto, ma non del tempo

 

“Tra 200 metri girate a destra”.

“Girate a destra”.

È un’umida mattina di agosto e siamo in macchina già da quasi due ore. Ecco che con educata insistenza il navigatore ci esorta a imboccare una stradina improbabile. In fondo ci sarebbe stata la nostra meta. Proseguiamo dubbiosi fino alla fine della strada e lì apparentemente ancora nulla, se non intravedessimo a un certo punto delle pietre, un muro, sbucare dalla fitta, fittissima vegetazione che abbiamo tutto intorno. Poi una voce, un saluto. È Raffaello Annicchiarico ad accoglierci e a invitarci nel suo Podere Veneri Vecchio.

Scesi dalla macchina Raffaello ci invita subito a seguirlo tra le altissime fronde che circondano il podere coperto da un’edera rigogliosa e ci accompagna fino dentro alle vigne. Pali in legno sostengono i filari, alla vecchia maniera e anche qui la vegetazione continua a essere rigogliosissima. In pieno agosto, ci dice, e nulla di meglio della pianta stessa può proteggere il grappolo in maturazione dall’azione diretta del sole.

Tutto cominciò una ventina di anni fa, ci racconta, quando, stufo della sua professione di microbiologo alimentare, cercava un modo per esprimere a pieno se stesso e le proprie idee. Questo luogo tra le colline di Castelvenere sembrava essere stato nascosto per anni ad occhi indiscreti per svelarsi solo a chi lo avesse saputo guardare, capire. Per chi avesse saputo notarlo. Perché Podere Veneri Vecchio infatti è un luogo dove la natura mostra la sua gentile potenza, un luogo dove sei portato a parlare a bassa voce, dove ti dispiace calpestare un filo d’erba. Un santuario, una riserva. Qui infatti sono resistiti negli anni antichi vigneti autoctoni, per lo più semi-estinti. Uve come Agostinella, Grieco, Sciascinoso, Piedirosso.  Un patrimonio di biodiversità genetica e varietale che rischiava di essere perduto per sempre.

Dopo aver venduto l’uva per alcuni anni, Raffaello si è avvicinato con il massimo rispetto alla vinificazione di questi micro-appezzamenti, “cru” naturali creati dalla sola forza organizzativa della terra. Nonostante la costante presenza in vigna, sono minimi i suoi interventi, ci dice, se non per il trattamento periodico con una particolare miscela derivante dalla macerazione di piante autoctone come Equiseto ed Ortica. Perché se la natura ha dovuto inventarsi metodi di sopravvivenza per millenni prima che arrivassimo noi con la chimica, il petrolio e la plastica, sarebbe un po’ arrogante pensare di sapere fare meglio non credete? Queste ed altre sono le anarchiche provocazioni di Raffaello che ci tiene molto a sottolineare come ogni scelta che ha affrontato negli anni sia stata sempre pensata nel rispetto di quella terra che lo aveva scelto come suo custode.

Spostandoci in cantina, colpisce innanzitutto lo sbalzo termico perché qui è freddo, e anche piuttosto buio. Siamo nel seminterrato del Podere infatti in una specie di grotta scavata nel tufo molti anni prima per ricavare materiale edilizio. Ed è qui che la filosofia produttiva di Raffaello si fa ancora più evidente. Le fermentazioni di ogni suo vino partono in maniera spontanea grazie ai lieviti che naturalmente colonizzano gli acini in una vigna sana. Lieviti che finiscono anche per colonizzare gli ambienti di lavorazione e così, nella sua cantina, i muri sono in parte attaccati da muffe e inflorescenze che contribuiscono, ci spiega, all’equilibrio microbiologico che permette al mosto in fermentazione di mantenersi sano a lungo.

Tante piccole botti si appoggiano da anni a questi muri vivi ed è proprio raccontandoci delle sue botti, tutte costruite anni prima con legni recuperati nella zona come castagno, acacia e ciliegio Raffaello ci rivela come il tempo sia il vero ingrediente per la sorprendente complessità che si ritrova nei suoi vini. Nessuna trasformazione viene accelerata o alterata dall’intervento umano. Ad ogni passaggio è lasciato il suo tempo, che può quindi cambiare di anno in anno. Ed è proprio sul tempo, sul valore del tempo, che ha cardine la sua visione del vino naturale. Perché saper aspettare è l’arte di trovare un equilibrio tra sé e quello che si fa. È grazie alla cura negli anni, al lavoro esperto sulle bucce e sulle fecce, che i suoi vini arrivano carichi e vini in bottiglia, senza bisogno di filtrazioni né chiarifica, che anzi andrebbero ad alterare e sminuire il lungo lavoro.

Una volta entrati in casa ci lasciamo il gran caldo alle spalle per sederci attorno al bellissimo tavolo di maiolica della cucina dove Raffaello inizia a versarci i suoi vini. Tutti vitigni autoctoni, come dicevamo, da vigneti impiantati dai 30 a oltre i 60 anni fa su suolo argilloso puntellato da massi di tufo nero. Tutti vengono lasciati riposare in legno e restituiscono nel calice il lavoro perfetto e misterioso di un grande vignaiolo.

Bella Ciao Agostinella rappresenta uno delle ultime battaglie di Raffaello per la conservazione delle varietà “minori” e quasi abbandonate, l’Agostinella appunto. Nel bicchiere c’è tutto il gusto pungente, acidulo, diritto di una grande rivincita. La macerazione è breve per mantenere integro il forte e vibrante carattere di quest’uva, l’affinamento in legno è di 8 mesi per poi proseguire con almeno 3 mesi in bottiglia. Un vino i cui profumi agrumati e fioriti e il gusto speziato raccolgono tutta la burbera emotività del suo creatore, tutta la sua rivoluzione.  E sul retro della bottiglia queste parole completano il capolavoro, esprimono un manifesto: “Resistere significa alzare la testa, alzare lo sguardo. Se bevi vini realizzati solo con la terra fertile, fermati, ascoltali, rallenta il passo; solo così ti si conceranno con tutta la loro forza, con tutte le loro debolezze; in caso contrario lasciali… a chi è in grado di condividerli.”

Il Tempo Ritrovato invece deriva dalla vigna mista di Grieco e Cerretto, probabilmente cloni locali di Trebbiano e Malvasia di Candia. Macerato per una decina di giorni, a secondo dall’annata, questo vino è un omaggio a quei contadini che per anni hanno vinificato così il loro vino, prima che si iniziasse a definire la macerazione una moda. E Raffaello lo propone così nella sua complessa genuinità come se lì, nella sua terra, il tempo si fosse fermato. Dopo il primo sorso, il vino inizia a svelarsi, sussurra, sfugge. Non è un vino facile, è un vino che richiede tempo, amore e buone capacità di ascolto. Le note sono balsamiche, di macchia mediterranea. In bocca è asciutto, freschissimo, teso.

Tempo dopo Tempo è il fratello maggiore tra questi tre vini di cui vi abbiamo raccontato. Qui la macerazione si spinge oltre i 20 giorni, sempre a seconda dell’annata, con frequenti rimescolamenti per accentuare al massimo il contatto tra mosto e bucce. Il naso è pieno di frutta e non manca qualche divertente nota caramellata insieme a un bel sentore di lievito fresco. In bocca, come tutti i vini di Raffaello, è affilato, ma con quella ruvidità e porosità in più. Un vino carico della sua terra, impregnato di profumi e colori. Un vino che ancora si lascia conoscere piano, come un compagno di banco il primo giorno di scuola.

Infine, vogliamo raccontarvi una delle novità di Raffaello, Notturni Passaggi. Con le uve Barbera del Sannio, Aglianico e Sangiovese utilizzate anche per i suoi due grandi rossi Ruttilum e Perdersi e Ritrovarsi, questo rosso frizzante naturale è un inno alla spensieratezza. Un vino da bere sotto una bellissima stellata, al buio, anche da soli. Un vino chiacchierone, allegro, instancabile. Un vino in cui ancora una volta la terra ha pervaso l’uva e che arriva diretto a chi lo beve come una dichiarazione.

Ancora tantissimi ringraziamenti vanno a Raffaello per averci ospitato, nutrito e dissetato sia con il suo vino, sia con la sua gran voglia di fare bene e di fare meglio. Ma soprattutto di fare, quando nel mondo in tanti stanno solo a guardare.