VIII Mercato dei Vini – FIVI

VIII Mercato dei Vini – FIVI

Dicembre 3, 2018 0 Di lasecondadolescenza

L’orda indipendente

Cari vignaioli indipendenti, quest’anno eravate tanti, tanti, tantissimi!

Piacenza Expo, ancora una volta, si è dimostrata una location perfetta, quest’anno ancora più spaziosa grazie all’apertura anche del padiglione 2 interamente dedicato agli artigiani del cibo. Più spazio quindi ai vignaioli che quest’anno erano ben 600.

In un giorno e mezzo è stato quasi impossibile riuscire ad assaggiare tutto quello che volevo, ma con carta, penna, buone gambe e buon fegato, ho comunque raggiunto un buon risultato.

Vista l’assegnazione random dei banchetti ai vignaioli, la cosa più semplice è stata quella di orientarsi per tematica, invece che per regione.

I GIOVANI

Moltissime aziende, ad esempio, sono accumunate da una gestione “giovane”.

Cominciamo con il Moscato e il Dolcetto di Emilio Vada a Coazzolo, quella lingua di terra piemontese che divide il Monferrato dalla Langa. Vignaioli da generazioni, oggi Emilio sta lavorando non solo al prodotto, ma anche alla creazione di un’immagine 2.0 della loro realtà con bottiglie coloratissime e così buone da non perdere! Ancora in Piemonte, le sorelle Tibaldi, dopo varie esperienze all’estero, stanno dando una nuova “forma” alla passione tramandatale dal nonno Tunin e imbottigliano oggi vini eleganti, puliti di grande determinazione. Il miglior Arneis in fiera è stato sicuramente il loro Bricco delle Passere!

Giovanissima è Noemi – delle Guaite di Noemi appunto – produttrice all’avanguardia in una terra dalla tradizione lontana come la Valpolicella. Lavorazioni lunghe e rispettose per vini memorabili come il suo Solitario. Sempre in Veneto, Vittoria, da poco entrata nella gestione dell’azienda accanto agli zii, mi ha fatto conoscere La Cappuccina. Molto interessanti le diverse declinazioni di Soave, anche Metodo Classico, e il rosso Campo Buri, blend di Carmenère e Oseleta, un autoctono veneto molto intenso e speziato.

Rivelazione infine sono stati i vini di Bettalunga vicino a Perugia, progetto di viticoltura indipendente dell’enologo Alessandro Lanterna nato nel 2015. Solo due ettari e mezzo vitati, ma più che sufficienti per vini che dimostrano carattere e territorialità in un sorso diretto, che arriva dritto al punto.

E se capitate nell’estremo levante Ligure invece, andate a trovare i giovanissimi vini di I Pilastri, tra cui un fresco Vermentino Nero che convince particolarmente.

E se finora non avete mai sentito parlare molto dei vini della Valtènesi, sulla sponda occidentale del Lago di Garda, allora sappiate che qualcosa sta cambiando, e per fortuna sempre più verso il bio. E’ il caso dei rosè di Groppello dei ragazzi di Podere dei Folli: interessanti sia il tradizionale chiaretto Prefète, sia lo charmat lungo Béspoi.

E ancora, in Oltrepò invece, molto serio e impegnativo il progetto di Matteo di Colle del Bricco, il suo Riesling mi è piaciuto molto, intenso e fresco e complesso al tempo stesso.

GLI EROI

Un piccolo tema a sé è stato quello della viticultura eroica con due fantastici assaggi valtellinesi. Il Pizamej di Barbacan, Valtellina superiore naturale, 90 giorni di macerazione e botte grande di rovere austriaco, l’allegro Igitì Alpi Retiche di PizzoCoca, nuovissima azienda di Lorenzo Mazzucconi di soli 1,7 ettari in otto appezzamenti, un progetto che vale la pena di seguire nei prossimi anni.

Un’altra forma di eroismo è quella di Alessandro Sala che in provincia di Bergamo con la sua cantina NoveLune ha realizzato il suo obiettivo di una vigna dove si potesse direttamente mangiare l’uva dalla pianta senza bisogno di lavarla attraverso l’uso dei vitigni Piwi resistenti. Così i vini di NoveLune sono vini di alta qualità, vivi e originali, nel totale rispetto dell’ambiente e della sua biodiversità, privi di ogni interferenza chimica. In particolare, da provare Rukn, 50% Bronner e 50% Johanniter, macerato in anfora per mesi.

 

GLI ARTISTI

Quest’anno i vini di molti produttori mi hanno colpito non solo per il gusto ma anche per la storia delle loro etichette. Veri e proprio quadri, come nel caso della cantina marchigiana Vallorani dove Rocco, il vignaiolo, ha chiesto ad artisti delle sue zone di dipingere i suoi vini. E ne sono nati dei capolavori di arte contemporanea, bellissimo quello in stile murales dedicato al blend macerato super rock di Malvasia e Trebbiano LeFric!

Ancora c’è chi, come Donatella Agostoni, nipote del pittore e incisore Paolo Manaresi, ha fatto della firma dell’artista il logo della propria azienda, Manaresi appunto. Nata in zona Predosa, vicino a Bologna, da oltre 30 anni l’azienda cura il prodotto simbolo di quei colli, il Pignoletto, e lo propone sia in una versione frizzantina, immediata, sia in una declinazione ferma, il Pignoletto Classico, più nitida e riconoscibile.

“Multidisciplinare” è invece il progetto della Cantina Monferrina in Val Tidone. Un’azienda storica su oltre 50 ettari che comprende anche una villa di inizio Novecento proprio nel centro del borgo Vicobarone. Da sempre dedita alla produzione del vino, per lo più sfuso, da 2016 la Monferrina si impegna a rinnovarsi, non solo in vigna, nel progetto Marinferno. Un percorso che unisce alla conversione all’agricoltura biologica, una maggiore attenzione al paesaggio e il coinvolgimento di molti creativi e artisti sia per il design delle nuove etichette, sia per un più grande piano di recupero e promozione dell’intero borgo. Per farvi un’idea dei frutti di questo progetto potete iniziare con il loro macerato di Ortrugo e Malvasia di Candia che mescola e bilancia in un sorso complesso la frutta disidratata, candita a fresche note agrumose. Per noi una delle sorprese di questa Fivi

L’ALBANA (e i macerati)

L’Emilia-Romagna meriterebbe un intero capitolo a parte, con tantissime aziende presenti, e un sottocapitolo lo meriterebbe senza dubbio il vitigno autoctono bianco Albana. Molto valorizzato dalla macerazione, in anfora soprattuto, l’Albana convince e si propone al mercato come un nuovo Timorasso, un vino bianco di corpo, dall’elevato grado alcolico e molto incline ai lunghi invecchiamenti. Le mie preferite sono state il Gioja di Giovannini, giovane, snella e beverina, e le versioni macerate (anche oltre i 60 giorni) di Terre di Macerato e di Francesconi, di cui mi ha colpito soprattutto Arcaica, la versione in anfora.

Oltre alle albane, non poteva mancare comunque qualche altro assaggiato macerato. Non erano in tanti a proporre questa lavorazione in fiera ma ho trovato due chicche che non potete perdere. L’Ortrugo pavese di Tenuta Borri, tannico, speziato, intrigante e il Vermentino dell’azienda La Ricolla di Daniele Parma, nell’entroterra di Chiavari.

 

LE BOLLICINE

Passando alle bollicine, sempre in Emilia ho assaggiato ottimi rifermentati, e tra tutti mi è piaciuto l’approccio corposo e morbido del lambrusco salamino con lieviti indigeni Grato di Lusvardi. Una bella azienda in provincia di Reggio, e il nome del vino, Grato, vuole essere appunto un ringraziamento ai nonni della famiglia, sulla cui terra è stato possibile far nascere questo progetto giovane e bio dalle grandi potenzialità su cui investire! Inoltre, sicuramente da segnalare il Falistra di Podere il Saliceto, un bel sorbara in purezza dal carattere delicato e verticale.

Grandi sorprese (e una conferma) invece dai metodi martinotti in veneto. Col del Lupo, sulle colline di Collebertaldo a Valdobbiadene, propongono un bellissimo Brut asciutto, secco, mineralissimo che non avrei mai smesso di bere. Oltre al classico, mi sono innamorata anche del loro col fondo Notae dalla bellissima acidità, quasi tagliente. Per gli amanti dei dosaggi un po’ più alt invece, ho apprezzato molto il Cartizze di Bàstia, un vero artigiano della bollicina.

E la conferma chi poteva essere se non Belecasel? A giudicare dalla fila al loro stand, noi non dobbiamo essere i soli ad apprezzare molto il loro Asolo Prosecco Brut, per altro quasi introvabile in Italia se non in Fivi.

Per le bollicine lombarde si è giocato il solito derby Oltrepò-Franciacorta. E per chi pensa che sia già persa in partenza devo dire di aver assaggiato piacevolissime blanc de noir pavesi, tra cui Torre degli Alberi, ottimo sia nel Brut che nell’elegante Dosaggio Zero. In Franciacorta invece, molti i nomi noti presenti come San Cristoforo e Corte Fusia (con un saten pazzesco!) e i nomi meno nomi come Rizzini. Quasi un croux il loro, soli 2 ettari ai piedi delle colline di Monticelli Brusati, curato con dedizione per preservare e valorizzare al massimo il territorio. E il risultato è che nelle annate migliori potreste avere la fortuna di bere spumanti con oltre 100 mesi sui lieviti, come quello 2008 presente in degustazione, la cui complessità non può che definirsi un capolavoro.

Grande sorpresa nel tema bollicine è stata un’azienda familiare biodinamica nata nel 2005 vicino a Salerno, Casa di Baal, ovvero Annibale, alle cui imprese richiama l’elefantino simbolo della loro azienda. Non perdetevi le loro declinazioni molto personali e sincere del vitigno autoctono più antico della Campania, il Fiano. A partire dal Metodo Classico Dosaggio Zero, complesso e verticale, al più dinamico e giovane La Mossa, versione rifermentata di Fiano e Malvasia.

 

I LAZIALI

Un altro capitolo a parte sarebbe da dedicare alla ripresa della viticoltura artigianale e di qualità in Lazio. Ho avuto l’onore di chiacchierare a lungo con il proprietario dell’azienda Colacicchi ad Anagni. Un’azienda storica, nata dalla mente illuminata dell’etnomusicologo Luigi Colacicchi, la cui produzione su appena 6 ettari è ripresa nel 2014. I vini di Colacicchi sono diretti, né manierosi, né ruffiani. Particolarmente fragrante, agrumata, fiorita è il loro Stradabianca, blend di Malvasia, Passerina e Bellone, che esprime il massimo nella versione Collepero da vigne più vecchie. Radicato nella storia è invece il Tufano, cesanese in purezza vinificato solo in acciaio. Forse il miglior rosso di quest’anno in Fivi. Chiude la degustazione un assaggio del Torre Ercolana, la bottiglia più prestigiosa della azienda, prodotto da una vigna storica dove l’autoctono Cesanese convive con varietà internazionali tra cui il Cabernet e Petit Verdot.

Non lontano da loro, l’azienda Casale Certosa della famiglia Cosmi, propone, invece, tra gli altri, una bella Malvasia Puntinata in purezza dove l’aromaticità intrinseca del vitigno si sposa a una bella sapidità regalando un calice morbido, appagante e molto persistente.

 

LE SOPRESE

Poi mi sono divertita ad assaggiare alcuni vitigni a me sconosciuti. Ad esempio, la Franconia, rosso autoctono dell’estremo est friulano, usato molto in passato nei tagli della zona e ora recuperata da alcuni produttori tra cui Luca Fedele. Gusto speziatissimo e medio corpo, per un vino decisamente riconoscibile. Mi sono piaciuti molto anche i suoi “classici” bianchi, dal friulano al Pinot Grigio naturali e solo lieviti indigeni durante la fermentazione.

E la Granazza la conoscete? Questo bianco autoctono della provincia di Nuoro è il progetto di un altro giovanissimo vignaiolo di Tenuta Caneddu. Un’uva “ecclesiastica”, da sempre usata per i battesimi e le messe, oggi trova nuova vita e nuova dignità in Delissia. Colore solare e caldo, un naso ricco, per un gusto al tempo stesso asciutto ma corposo.

Infine, ho trovato alcuni grandi noti, ma decisamente “fuori zona”. Come nel caso del Pinot Nero, sull’Etna a 1100 metri, ovviamente parlo della mano unica di Nunzio Puglisi di Eno-trio. Un assaggio che non dovete perdere! E poi il Gamay, ma quello del Trasimeno, parente della Granache, e diventato autoctono di quelle zone a partire dalla dominazione spagnola del 1600. L’azienda Madrevite o lavora ormai da una ventina d’anni sia in versione rosata, sia tradizionale in un rosso COS’A speziato, leggero, dinamico, fresco che mi ha inaspettatamente conquistato.

Ancora tantissimi complimenti a tutti i vignaioli che hanno partecipato con il loro entusiasmo e la loro creatività, sarebbe stato bello stringere la mano a ciascuno di voi. Cercheremo di farlo il prossimo anno!