VINNATUR 2018

VINNATUR 2018

Aprile 21, 2018 0 Di lasecondadolescenza

Vinnatur – Villa Favorita 2018

C’è sempre una prima volta, e, solitamente, è quella che non si scorda mai.

Questa è stata la mia prima volta. La prima volta in cui ho varcato la soglia del tempio del vino naturale.  Una villa isolata in cima a una collina, un filare di cipressi a delimitarne l’accesso. Attorno solo vigne e primavera. Arrivo così, in una domenica mattina, a Villa Favorita, per la quindicesima edizione di Vinnatur. Quest’associazione, nata dalla visione di un grande vignaiolo come Angiolino Maule, ha fatto della ricerca e dell’educazione al vino naturale il suo scopo primario. Ad oggi si contano oltre 200 piccoli produttori (8 ettari la superficie vitata media per azienda) italiani ed europei che insieme collaborano per migliorare la gestione delle tecniche di vinificazione, con attenzione alle fermentazioni con soli lieviti indigeni, senza l’aggiunta di additivo chimico alcuno, anche in cantina.

L’interno della villa si rivela ancora più scenografico del suo esterno con il piano nobile, illuminato da ampie vetrate ha splendidi infissi stuccati e affreschi ai soffitti. Più angusto e buio il piano cantina, che però riporta in vita il fascino di un mondo antico: mattoni a vista, spesse pareti, piccoli passaggi da un vano a un altro, volte basse, viene da parlare sottovoce. Molto affascinante.

Iniziano proprio da qui i miei assaggi che voglio raccontarvi nello stesso ordine con cui hanno avuto occasione di stupirmi.

Domain de la Pinte, Jura. Il loro rosso 2016 Le capitaine, Pinot Nero con una percentuale di Poulsard e Trousseau, è il primo vino che assaggio e ancora sento l’estrema piacevolezza dei suoi profumi e del suo corpo, seguono Chardonnay e Savagnin in purezza fino alla romantica Cuveé d’Automne affinato in legno con sviluppo di flor. Bouquet appassito, corpo secco e persistente, equilibratissima acidità. Gran vino.

Altrettanta romanticità la ritrovo nel Sauvignon leggermente macerato e nella Schiava (varietà Sant’Anna) di Weingut in Der Eben. Cantina biodinamica di un giovane altoatesino che matura e cresce insieme ai suoi vini che sono quindi riflesso di tutte le ore di sole e tempeste della vita e mostrano grande personalità.

Dopo il calice portentoso di Sant Laurent bevuto qui a Milano, sono subito passata dagli austriaci di Weingut Heinrich per conoscere meglio i prodotti del Burgenland, la regione più calda dell’Austria. Le aspettative non vengono deluse, fresche e decise le loro due macerazioni di Pinot Grigio e Moscato (varietà autoctona) in particolari bottiglie in ceramiche mi sono piaciute molto.

Con l’Austria nel cuore, faccio conoscenza di Marco De Bartoli che, in due territori diversi ma complementari, Marsala e l’isola di Pantelleria, coltiva le due uve regine dell’isola, Grillo e Zibibbo e le lavora dalla versione in acciaio, a quella in anfora, a quella passita. Merita un racconto a parte il loro progetto di recupero del Vecchio Samperi, il marsala ancestrale, privo di fortificazione.

Era scritto nel loro destino invece per i vignaioli Rosso e Nebbiolo (no, non è uno scherzo) il decidere di unirsi per fare vino in Monferrato dando vita alla realtà di Cascina Roera. E nonostante la tradione “rossista” piemontese i loro bianchi macerati a lasciarmi senza parole, sia il blend Ciapin sia lo Chardonnay in purezza Le Aie. Nota di grande, grandissimo merito, però al loro cru di Barbera San Martino.

Continuando a perdermi tra i passaggi nascosti del piano cantina, incontro la piccola azienda biodinamica toscana Anima Mundi che ha scelto di adottare 6 piccoli vigneti abbandonati e di vinificare solo in purezza i piccoli autoctoni della zona, tra cui il raro Foglia Tonda.

Ancora, ad arricchire il mio personale bagaglio di assaggi laziali è stato Podere Orto, frutto della pazzia e della passione di una coppia romana. Se dovessi immaginare dove disegnare l’ombelico all’Italia sarebbe esattamente lì dove hanno scelto di reinventarsi, al confine di Lazio, Toscana e Umbria. Un vigneto a 600 metri d’altezza intatto e protetto per vini d’impatto, riconoscibili, onesti.

E il Sangiovese di Romagna? Ne ho trovato uno solo, ma un vero fiore all’occhiello per la categoria. Cà dei Quattro Archi, in provincia di Imola, guidata dalla coppia di Rita e Mauro che hanno puntato sulla tradizione e sulle lunghe macerazioni per essere vero specchio del loro territorio. Cercando il Sangiovese, ho trovato anche la loro albana, un vino della domenica, tannica, rustica e buona.

Dopo una pausa e una fetta di torta della mitica cooperativa delle signore di Monticello di Fara, è la volta del giro al piano nobile.

Ancora la Sicilia non delude con l’assaggio di una giovane azienda a Noto, Il Mortellito. Solo varietà autoctone e vigneti antichi ad alberello. Viaria, Calaiancu e Calaniuru, sono vini in cui la mineralità del terreno e la salsedine del mare trovano l’alchimia perfetta per una persistenza e un gusto notevoli.

A questo punto poteva mancare un rifermentato? Ho assaggiato la versione col fondo di Col Tamarie a base di bianchetta, boschera, glera, grapariol, perera e verdiso, tutti autoctoni trevigiani Una vigna morenica a 450 mt sul livello del mare la cui influenza si ritrova nella piacevole acidità e mineralità del vino. Un sorso fresco e spensierato come i due giovani viticoltori.

In chiusura una fermata in Umbria per i vini di due grandi vignaioli di questa regione. Fongoli di Montefalco mi ha divertito con la verticale di trebbiano spoletino, dalla versione rifermentata a quella super macerata di Maceratum. Un vitigno dalle potenzialità enormi e una mano sapiente a lavorarlo da quattro generazioni fanno di questi vini dei capolavori. Lo stesso valga per i sagrantini di cui ho apprezzato moltissimo la versione in anfora Fracanton. Più a sud verso Spoleto, la famiglia Mattioli di Collecapretta, risponde con la sua versione macerata di trebbiano spoletino, Terra dei Preti, più fresca e sapida e con la Selezione le Cese, un clone autoctone umbro di Sangiovese, estremamente godurioso.

E poi… e poi uscimmo. Un ultimo respiro di campagna, un ultimo sorso di vino e infine il commiato –  tanto odiato quanto inevitabile – dalla reggia della naturalità. Il buono e il giusto che esistono e resistono.

Arrivederci all’anno prossimo!